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Roma, 28 giu. (askanews) – Il partito democratico americano, in preda al panico sulle condizioni di salute di Joe Biden, sarebbe pronto a mettere da parte il presidente in vista delle elezioni di novembre. Ma il problema è che lo stesso inquilino della Casa Bianca dovrebbe fare il primo passo e in ogni caso l’idea di una sostituzione in corsa appare complessa e irta di pericoli per un partito già in difficoltà e in rincorsa nei sondaggi.

Come potrebbe avvenire il ‘cambio di cavallo’ democratico per un nuovo mandato presidenziale?

Sebbene il partito abbia tecnicamente un sistema per nominare un nuovo candidato alla convention nel caso in cui quello prescelto rifiuti la nomination, l’intero processo appare incerto e non viene preso in considerazione da decenni, fa notare Politico.
In base alle regole del Comitato nazionale democratico, non esiste un meccanismo che consenta ai vertici del partito di cacciare Biden e se qualcuno nel partito vuole sostituirlo, deve impegnarsi in un processo di nomina alla convention, fissata per agosto a Chicago.

Biden ha ottenuto circa il 95% dei quasi 4.000 delegati alle primarie, a cui si presenteranno con una ‘pledge’ per la nuova candidatura del presidente, ovvero una promessa di sostenerlo, non l’obbligo che vige invece in campo repubblicano. La campagna di Biden tra l’altro ha avuto un ruolo nella scelta di questi delegati alle convention statali in tutto il Paese e per negare la nomination al presidente dovrebbe voltargli le spalle almeno la metà dei delegati.

Nel caso in cui Biden accettasse di fare un drammatico passo indietro, rifiutando la candidatura, si aprirebbe un processo aperto e imprevedibile e temuto da molti nello stesso partito democratico, per tante ragioni, a cominciare da chi potrebbe o dovrebbe essere il sostituto.

Quali candidati alternativi?

I nomi più citati sono quelli della vicepresidente Kamala Harris (considerata forse l’unica a cui Biden potrebbe decidere di delegare la gara alla Casa Bianca) e dei governatori della California Gavin Newsom, Gretchen Whitmer del Michigan e dell’Illinois JB Pritzker. In ogni caso, alla convention il
candidato presidente e il candidato vicepresidente devono essere votati separatamente e se Harris passasse alla posizione di candidata presidente, la nomina di un vice lancerebbe nuovi giochi politici e sfide interne, ad alto potenziale destabilizzante.

L’ipotesi Michelle Obama, molto popolare sulle piattorme social, non troneggia nei circoli politici e su media tradizionali. Viene piuttosto citata in campo repubblicano come spauracchio ad uso interno. Il senatore repubblicano del Texas Ted Cruz ha tuttavia rilanciato con forza l’opzione Michelle dopo il duello tv della scorsa notte: “Guardando lo straziante spettacolo del dibattito di Biden, credo che le probabilità siano ora superiori all’80% che i democratici scarichino Biden”, ha sostenuto Cruz in un post su X, precedentemente chiamato Twitter. “Nove mesi fa, su Verdict, avevo previsto che i democratici avrebbero sostituito Biden con Michelle Obama. Penso che succederà”.

Chiunque si presentasse, dovrebbe ottenere il consenso dei delegati, che non costituiscono un corpo unico e non è affatto detto che accetterebbe la candidatura al primo colpo. Il fallimento della votazione farebbe entrare la Convention nella fase “aperta”, senza un candidato designato e a quel punto entrerebbero in scena i “superdelegati”.

Il partito Democratico ha privato i “superdelegati” – funzionari eletti e leader del partito che possono votare per chiunque desiderino – di quasi ogni potere dopo le controverse primarie del 2016. Questi rientrerebbro in gioco con il loro peso politico se nessun candidato ottenesse la maggioranza dei delegati al primo scrutinio.

Alla luce di tutte queste incognite e del complesso iter che si prospetterebbe, solo un ritiro di Biden potrebbe rilanciare il processo di nomina evitando ulteriori traumi.

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