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Roma, 19 lug. (askanews) – La trasformazione digitale è fondamentale per lo sviluppo del paese ma il settore delle telecomunicazioni in Italia è mettendo sotto pressionee dalle dinamiche competitive in corso con un calo considerevole dei ricavi che va avanti da anni e che impatta inevitabilmente sugli investimenti. Lo ha sottolineato il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Giacomo Lasorella, nella sua Relazione al Parlamento in cui ha tracciato un quadro del settore dei media in Italia auspicando inoltre di potere avere un quadro definito sul riassetto proprietario e strutturale di Tim,”l’operatore dominante” al centro della partita per la vendita della rete infrastrutturale Netco.
“Il settore delle comunicazioni elettroniche conosce nell’anno 2022 una ulteriore riduzione in termini di risorse complessive pari al 3,3% (-2,8 nel 2021) nell’ambito di un quadro macroeconomico che, pur caratterizzato da rilevanti dinamiche inflattive, si mostra nei suoi indicatori principali (Pil, consumi delle famiglie ed investimenti), in sostanziale ripresa”, ha rilevato l’Agcom.
Il valore complessivo del settore si attesta oggi intorno ai 27 miliardi di euro, con una flessione, nel quinquennio 2018-2022 dell’ordine del 13,7%, pari a circa 4,3 miliardi di euro. Tale flessione è ascrivibile principalmente al calo delle risorse della rete mobile, il cui valore – oggi pari a 11,74 miliardi di euro – appare ridotto del 5,3% rispetto al 2021, mentre i servizi di rete fissa – con un valore complessivo pari a 15,19 miliardi di euro – mostrano una riduzione più contenuta (-1,7%).
Ne deriva che la “riduzione delle risorse disponibili” nel settore delle telecomunicazioni “ha avuto effetti negativi anche sull’andamento degli investimenti: in rapporto ai ricavi, nel 2022, gli investimenti restano superiori al 25% ma si riducono in misura non marginale in termini assoluti (-7,3%, passando da 7,49 a 6,95 miliardi di euro)”.
Tuttavia le nuove modalità di comunicazione, di organizzazione del lavoro e di consumo di media (streaming in particolare), che, seppur già in atto da tempo, hanno caratterizzato la fase pandemica, hanno prodotto mutamenti di natura strutturale che trovano conferma nelle ultime evidenze disponibili.
Tra il 2013 ed il 2022 il numero delle linee a larga banda in rapporto a quelle complessive è passato dal 66,4% al 93,6%, e, tra queste, quelle con maggiore velocità di connessione (Fttc-Ftth) sono cresciute dall’1,6% al 69,1%.
Quanto alla diffusione dei servizi a larga banda sul territorio italiano, a fine 2022 si stima che gli accessi broadband e ultrabroadband residenziali e affari siano pari a 18,6 milioni. Una quota pari all’81% (77% nel 2021) degli accessi ultrabroadband è commercializzata con velocità pari o superiore a 30 Mbit/s mentre il 68% (61,6% nel 2021) supera i 100 Mbit/s.
Complessivamente si stima siano disponibili 31,6 linee ogni 100 abitanti anche se permangono, come già evidenziato in passato, non marginali differenze territoriali nella penetrazione di tali servizi.
Del resto lo stesso andamento del mercato televisivo rispecchia i cambiamenti in corso nelle modalità di connessione. Il broadbad e ultrabroadband sono sempre più necessari perchè le modalità di fruizione di tv, video e intrattenimento in generale avvengono sempre più via internet, con un boom delle piattaforme.
Valutando la concentrazione nel settore televisivo, – ha spiegato l’Agcom – nell’ultimo anno ne va sottolineata una diminuzione del livello sebbene i primi tre operatori detengano ancora il 73% delle risorse complessive, pari a circa 8 miliardi (-0,3% sul 2021). Rai, come nel 2021, occupa la prima posizione (con una quota prossima al 30%), davanti a Comcast/Sky (23%), che continua a scontare il decremento dei ricavi da vendita di abbonamenti. Fininvest, attiva nel settore mediante le società del gruppo Mfe-Mediaset, mantiene il terzo posto (detenendo circa il 20% del totale degli introiti televisivi). Lo rileva la Relazione al parlamento sull’attività del 2022 dell’Autorità per le garanzie nelle cominicazioni.
Tra i restanti operatori, anche in ragione dell’attrattività dei contenuti premium (quali film, serie tv, eventi sportivi come il campionato di calcio di Serie A o la Champions League) che compongono le proprie offerte, aumenta sensibilmente l’incidenza delle piattaforme online (tra cui Netflix, Dazn, Tim, Disney +, Prime Video), che guadagnano porzioni di ricavi, arrivando a rappresentare congiuntamente il 17% delle risorse economiche del settore televisivo (+5 punti percentuali rispetto al 2021).
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