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Roma, 2 mag. (askanews) – Il referendum sul ‘Jobs act’ irrompe nella campagna elettorale per le Europee, perché il tema è uno di quelli estremamente “sensibili” a sinistra e in casa Pd. La riforma voluta dieci anni fa da Matteo Renzi è un po un “totem”, ormai, un simbolo da abbattere per chi vuole chiudere una volta per tutte i conti con l’era dell’ex “rottamatore”, ma anche una questione da trattare con prudenza secondo buona parte della minoranza Pd, quella in passato più vicina al leader di Iv. Che la questione sia delicata lo dimostrano le parole di Elly Schlein oggi a La7. Se Giuseppe Conte già ieri ha firmato il quesito della Cgil, la segretaria Pd, a ‘Tagadà’ è stata molto più cauta: “Ogni iniziativa del sindacato la guardiamo con grande attenzione, nel rispetto della sua autonomia. Chiaramente mi aspetto che tante e tanti del Pd daranno una mano in quella raccolta”.
Una linea più prudente di quella del leader M5s, la segretaria apre al sostegno individuale dei molti che nel Pd sono favorevoli ma non schiera ufficialmente il partito. Perché non è un mistero che sul punto tra i democratici le posizioni sono articolate e nel Pd non sfugge a nessuno che la posizione di Conte può essere letta anche alla luce di questo dato. Come sull’Ucraina – è il ragionamento – il leader 5 stelle prova a scavalcare il Pd a sinistra, contando sul fatto che i democratici dovranno tenere inevitabilmente una linea più prudente.
Linea che, non a caso, viene illustrata da Matteo Orfini, che da ex presidente del partito sa quanto sia opportuno evitare mosse impulsive su argomenti del genere: “Non credo che questo referendum sia tema da affrontare in campagna elettorale, immagino ci sarà una direzione. È del tutto evidente che è un argomento sul quale ci sono nel Pd opinioni differenti, si farà a tempo debito una discussione negli organismi dirigenti e assumeremo una discussione comune, come facciamo sempre”.
Del resto, per avere conferma dello scenario appena descritto basta ascoltare due esponenti Pd. Arturo Scotto, esponente della sinistra del partito e capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, è tra quelli che darà una mano al referendum: “Saranno tanti i militanti e i dirigenti del Pd che daranno una mano a raccogliere le firme, come ha detto la segretaria. Anche io sarò tra questi”.
Alessandro Alfieri, responsabile riforme in segreteria Pd e esponente della minoranza del partito, la vede molto diversamente: “Guardiamo avanti, il ‘Jobs act’ allora lo votò la maggior parte del Pd. Perché dobbiamo andare a riaprire ferite del passato? Guardiamo a ciò che ci unisce, guardiamo avanti.
Parliamo di salario minimo”.
D’altro canto, ricorda Scotto, l’idea del superamento del ‘Jobs act’ era giù nel programma di Enrico Letta per le politiche 2022 e “lo abbiamo scritto nella mozione unitaria dedicata al primo maggio firmata insieme ad Avs e M5S, presentata in Parlamento tre settimane fa e purtroppo bocciata dalla maggioranza”. Ma un conto è ipotizzare una revisione in Parlamento della legge di dieci anni fa, altra cosa è il referendum annunciato dalla Cgil e subito sottoscritto da Conte.
Non è esattamente quella ricerca di “ciò che unisce” rivendicata anche oggi dalla Schlein come bussola per costruire l’alternativa. La leader Pd sa che fa parte della logica della campagna elettorale, “che ci sia competizione prima delle Europee è fisiologico”, ha detto oggi in Tv quando le è stato chiesto se fosse preoccupata dagli “schiaffi” del leader M5s.
La linea della Schlein rimane la stessa: “Abbiamo la consapevolezza di non poter fare da soli. Stiamo crescendo, siamo cresciuti di sei punti, ma non bastiamo. Allora vogliamo parlare con le altre forze di opposizione, non solo con M5s. come facciamo a metterci insieme?”. La risposta per la segretaria è sempre la stessa: “Siamo d’accordo sul salario minimo? Andiamo avanti su quello insieme. Siamo d’accordo a salvare la sanità pubblica dai tagli che questo governo sta facendo?”. La competizione, è il convincimento del Pd – o almeno la speranza – svanirà dopo le Europee.
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