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Roma, 16 nov. (askanews) – Missione compiuta per Pedro Sanchez: con 179 voti e 171 contrari si è assicurato l’investitura al primo turno, blindata in parlamento dopo settimane di difficili negoziati: il leader socialista potrà iniziare un mandato che si preannuncia burrascoso, sia per le minacce esterne che quelle interne alla sua variegata coalizione.

LA DESTRA

Forti della preannunciata legge di amnistia per gli indipendentisti, sia il Partido Popular che l’estrema destra di Vox hanno iniziato a delegittimare il futuro governo già dalla prima, fallita investitura del leader popolare Alberto Nuñez Feijoó. In sostanza, la narrazione ultra è che Sanchez – avendo perso le elezioni – pur di rimanere alla Moncloa avrebbe svenduto il Paese agli indipendentisti – un “colpo di Stato”, secondo quanto ha dichiarato in aula il leader di Vox, Santiago Abascal.

Ora – a parte il fatto che i governi li fa chi raccoglie i voti necessari in Parlamento – Sanchez è un politico tanto ambizioso quanto fortunato, ma è anche vero che difficilmente un qualsiasi Segretario socialista, avendo la possibilità di varare un esecutivo, preferirebbe farsi da parte per vedere Vox sui banchi del governo. E la stragrande maggioranza della militanza socialista, che sull’unità della patria non è troppo diversa dalla destra, ha approvato gli accordi di coalizione.

La destra tuttavia ha altre frecce al suo arco oltre a quelle parlamentari: le manifestazioni di piazza non hanno raccolto la partecipazione che ci si aspettava, e anzi hanno sottolineato la presenza di elementi nostalgici quando non neonazisti, protagonisti di violenze e disordini repressi dalla stessa polizia che secondo Vox avrebbe dovuto disobbedire agli ordini di un esecutivo illegittimo.

La magistratura invece è un altro paio di maniche: l’ala conservatrice (vale a dire quasi tutta) è già sul piede di guerra e la legge di amnistia rischia di arenarsi sugli scogli della Corte Costituzionale; oltretutto, la riforma del Csm è bloccata da anni per le manovre dilatorie del Pp e finché le cose rimarranno così Sanchez non riuscirà ad avere alcuna sponda fra le toghe – cosa che peraltro potrà, se necessario, servirgli come giustificazione con gli alleati di governo.

Quindi: quattro anni di assedio mediatico, giudiziario e di delegittimazione del governo, un altro test di quello che fino ad ora si è rivelato un “sopravvivente” per eccellenza nella politica spagnola. Ma i problemi di Sanchez sono anche all’interno del suo governo.

I CATALANI E I BASCHI

Dal fronte catalano sia la sinistra di Erc che la coalizione Junts, in corso di dibattito, hanno avvisato: le promesse vanno mantenute se si vuole che la legislatura proceda in modo numericamente tranquillo. Entrambi i partiti indipendentisti sanno bene che Sanchez con l’amnistia gli ha venduto una macchina senza motore: la prevedibile via crucis giudiziaria, e quindi la sua effettiva applicazione, non dipenderà infatti dal governo.

Ma Junts quello che voleva era qualcosa da parcheggiare davanti a casa per l’ammirazione dei vicini, vale a dire la propria base: la cifra effettiva degli accordi riguarda finanziamento regionale e trasferimenti di competenze, tutte materie su cui i catalani non transigeranno ma che non sono di immediata attuazione.

Fra i due, Sanchez è quello che ha riscosso in anticipo: i voti necessari per l’investitura e per una navigazione parlamnetare tranquilla. Un discorso simile vale anche per i nazionalisti baschi, che attendono le loro contropartite economiche, come d’abitudine in questo genere di situazione, chiunque sia al governo.

A complicare la vita al nuovo governo Sanchez potrebbero invece essere le divisioni interne agli schieramenti nazionalisti: sia in Catalogna che nei Paesi baschi si avvicinano le elezioni regionali, ed è difficile che il dibattito eviti qualsiasi riferimento al passato referendum o ad altre iniziative unilaterali.

Un ritorno alla concordia nazionale, o almeno a qualcosa che venga percepita come tale, è infatti una delle monete di scambio volute da Sanchez – l’unica che potrebbe permettergli di non pagare troppo nei sondaggi la scelta di concedere l’amnistia, almeno a medio termine.

LA SINISTRA

Come se non bastasse, tra le sinistre di Sumar e Podemos sta per
consumarsi un rancoroso divorzio, dopo che ai secondi è stata negata una presenza nell’esecutivo; da una parte, la frattura non sarebbe una cattiva notizia per Sanchez, che vedrebbe consolidare la leaderhip dei socialisti; dall’altra, se Podemos decidesse di ritirare il proprio appoggio parlamentare il governo rischierebbe una permanente minoranza.

LE ALTERNATIVE

Non ce ne sono, a parte un ritorno alle urne che al momento non appare probabile. Sanchez ha dalla sua la sfiducia costruttiva che di fatto lo blinda alla Moncloa anche se dovesse finire per diventare un’anatra zoppa. Ora dovrà fare appello a tutta la sua abilità per riuscire a conciliare le varie promesse, elettorali e di coalizione, lungo un arco di quattro difficili anni e senza perdere troppi consensi: il test di sopravvivenza più difficile della sua carriera.
(di Maurizio Ginocchi)

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