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Milano, 18 ott. (askanews) – “L’atmosfera si sta riscaldando”. Non di meteorologia, ma di politica internazionale sta parlando Vladimir Putin alla fine del suo viaggio in Cina, in ore davvero calde, mentre Joe Biden è in Israele. Dalle forniture dei missili a lungo raggio ATACMS ad altri “errori enormi”, secondo il leader del Cremlino gli Usa “sono sempre più e più coinvolti nel conflitto” ucraino e questo a suo modo di vedere va a sommarsi a quanto “accade nel contesto del conflitto in Medio Oriente”. Putin afferma: gli Usa “hanno preso e portato due gruppi di portaerei nel Mar Mediterraneo”, mossa che Washington ha descritto come manovra di deterrenza ma che il Cremlino evidentementemente legge come altro e alla quale ritiene di dover rispondere. “Non è una minaccia” dice Putin, con la sua usuale flemma, ma, prosegue, “ho dato ordine alle forze aeree di iniziare a pattugliare costantemente lo spazio aereo sopra il Mar Nero”.
Non proprio una mossa regionale. I MiG-31K impiegati per il pattugliamento sono armati di missili Kinzhal, che “hanno un’autonomia di oltre mille chilometri a Mach 9”, spiega lo stesso leader russo. Messaggio agli Stati Uniti e all’intero Medio Oriente, espresso in modo molto diplomatico. Ma il sottotesto abbastanza comprensibile è che la Russia potrebbe prendere di mira qualcosa che si trova sino a mille chilometri con una velocità incredibile. Se tra gli obiettivi potrebbero esserci le portaerei, Putin lo lascia nel non detto.
L’atmosfera è più calda soprattutto di quanto sinora emerso dal fronte russo. Tanto più che lo spiegamento americano nel Mar Mediterraneo è stato rafforzato dopo l’attacco palestinese di Hamas contro Israele il 7 ottobre. E fino ad ora c’erano state solo lievi reazioni. Contemporaneamente oggi a Mosca la Duma di Stato, camera bassa del Parlamento russo ha adottato in terza e ultima lettura una legge per il ritiro della ratifica del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (in inglese: Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty, CTBT). Questo è un altro chiaro messaggio all’Occidente, anche se la lettura da Ovest può essere diversa: passo indietro, segnale di debolezza o addirittura incapacità di cavalcare una vera escalation. Va comunque detto che il 5 ottobre Putin ha esortato la Duma ad apportare il cambiamento per “rispecchiare” la posizione degli Stati Uniti, che hanno firmato ma non hanno mai ratificato il trattato del 1996.
Tra le immagini diffuse di Putin anche una sequenza che abbastanza raramente si è vista del leader del Cremlino: era accompagnato dagli agenti che trasportavano le valigette nucleari (una coi codici, l’altra col bottone) che possono essere utilizzate per ordinare un attacco nucleare.
Eppure Putin dice di augurarsi che persino un evento così “tragico” come l’ospedale colpito ieri sera a Gaza, “con centinaia di vittime”, “una catastrofe”, sia “il segnale che questo conflitto si possa finire, o l’inizio perlomeno di contatti o colloqui”.
Putin nelle ore che hanno preceduto il suo viaggio a Pechino ha condotto una vera maratona telefonica con i leader di 5 paesi mediorientali. “Per quello che riguarda le mie impressioni dopo i colloqui con cinque leader della regione,… nessuno, a mio parere vuole la continuazione, lo sviluppo e un approfondimento della situazione”, ha detto Putin. “Qualcuno per qualche motivo non vuole, qualcuno ha paura” ma comunque nessuno è “pronto” al compiere quel passo.
Con sullo sfondo la Pechino dell'”amico” Xi Jinping, Putin evidentemente vuole apparire sicuro e rassicurato dalla vicinanza dell’alleato cinese. Tuttavia anche in Russia il passo compiuto da Xi nei confronti di Mosca è definito dai commentatori abbastanza astratto: ha affermato che la Cina sostiene il popolo russo mentre difende la propria sovranità e segue il percorso della rinascita nazionale. Per altri commentatori è un passo molto importante, per quanto piccolo e poco definito. Rispetto alle sempre ambiziose attese russe, che avrebbero voluto da tempo un sostengno più forte, anche sul piano della difesa.
(di Cristina Giuliano)
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