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Roma, 11 gen. (askanews) – Fosse per Fratelli d’Italia, e per Giorgia Meloni, la cosiddetta norma anti-ribaltone nel disegno di legge sul premierato non ci sarebbe mai stata. E le perplessità, se possibile, sono aumentate durante le audizioni dei costituzionalisti che si sono concluse lunedì scorso. Una critica sulle altre è sotto la lente di ingrandimento: in questo modo ci sarebbe un secondo presidente del Consiglio più forte del primo, perché – a differenza di quello eletto – avrebbe tra le mani la facoltà di far finire la legislatura. Anche per questo, nel partito di maggioranza relativa, si considera altamente probabile che sarà necessaria una correzione. Il come, però, è ancora da stabilire giacché quella norma è lì perché fortemente voluta dalla Lega. Dunque, frutto di un compromesso all’interno di una maggioranza che in questa fase ha molti dossier aperti, a cominciare dalle prossime elezioni amministrative ed Europee.
L’obiettivo di Giorgia Meloni resta sempre quello di avere il primo via libera del Senato alla ribattezzata “madre di tutte le riforme” entro la primavera e, comunque, in tempo per il voto di giugno. E, soprattutto, la premier non vuole che quel provvedimento si trasformi in un terreno di battaglia per la coalizione. Per questo oggi a palazzo Madama si è tenuto un primo vertice di maggioranza, con i ministri Casellati e Ciriani e i capigruppo del centrodestra. Obiettivo dell’incontro: ribadire che “l’elezione diretta è irrinunciabile” e stabilire che non ci saranno “fughe in avanti” o emendamenti-bandiera, né dei gruppi né dei singoli. Insomma, se ci saranno modifiche (“E sottolineo se”, ci ha tenuto a precisare la ministra delle Riforme) saranno condivise. Il termine per la presentazione è stato fissato per il 29, mentre dalla settimana prossima sarà avviata la discussione generale.
Qualsiasi decisione, tuttavia, sarà presa soltanto in un incontro che si terrà nei prossimi giorni con la presidente del Consiglio.
La conferma, di fatto, arriva dal ministro dei Rapporti con il Parlamento. “La maggioranza è compatta nella volontà di andare avanti con questa riforma che è centrale per il programma del governo. Ora coinvolgeremo la premier Meloni e i vertici dei partiti e valuteremo: se ci saranno dei correttivi, saranno correttivi che decideremo tutti quanti insieme”, spiega Ciriani.
Nel vertice di oggi, viene spiegato, non si è entrati nel merito delle possibili modifiche anche se sono stati evidenziati i punti più critici. Secondo quanto viene raccontato, sul nodo della norma antiribaltone il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, avrebbe avuto un atteggiamento ‘aperturista’. “Siamo molto laici in merito alle possibile modifiche, le cose vanno fatte bene come con l’Autonomia”. Un riferimento non casuale alla legge cara al Carroccio: “Se la loro riforma va avanti senza problemi, non credo faranno storie sul premierato”, esemplifica un esponente di Fdi. Non è detto, comunque, che si torni alla formula del “simul stabunt-simul cadent” tra premier eletto e Parlamento. Una delle ipotesi è che si preveda invece la possibilità di un secondo presidente del Consiglio ma soltanto in caso di “impedimento grave” di quello indicato con il voto.
Altro punto della riforma molto criticato dagli esperti, su cui è altamente probabile che si intervenga con una correzione, è la previsione in Costituzione del premio di maggioranza del 55% per chi vince. L’opzione più accreditata è che si scelga una formula più generica, rinviando la definizione della soglia alla legge elettorale. Altro tema affrontato nella riunione è quello del limite dei mandati, attualmente non previsto nel ddl del governo.
Secondo quanto raccontato da alcuni partecipanti all’incontro, la ministra Casellati si sarebbe dichiarata favorevole all’inserimento di un tetto di due. E’ anche possibile che alla fine su questo punto il centrodestra decida di lasciare l’iniziativa all’opposizione, convergendo su un loro emendamento.
Non è stato nemmeno deciso se le eventuali proposte di modifica saranno presentate dal relatore, e presidente della Commissione, l’ultra meloniano Alberto Balboni, o sottoscritte dai capigruppo.
Difficile, tuttavia, che possano essere modifiche governative.
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