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Roma, 26 set. (askanews) – La cifra dell’inedito ha sempre giocato un ruolo nella vita di Giorgio Napolitano ed è così fino alla fine. Inedito lo è anche il suo funerale, che è, ancora, una prima volta: quella di una cerimonia laica e di Stato dentro la Camera, che ha tenuto in apnea fino all’ultimo gli uffici del cerimoniale, tra una bozza di programma e l’altra. Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica, il primo eletto due volte al Quirinale, è l’unico ad avere avuto un rito funebre dentro Montecitorio e non fuori, sulla piazza, come era stato per Pietro Ingrao e Nilde Iotti. L’unico, ancora, ad aver ricevuto così tanti e alti omaggi da uomini di Chiesa in un rito che, in coerenza con la pratica di vita, non aveva nulla di cattolico. Eppure per lui c’è stato l’omaggio, a sorpresa, di Papa Francesco alla camera ardente al Senato e le parole – così intime – di monsignor Gianfranco Ravasi che, in una delle sedi del Parlamento italiano, ha parlato della loro amicizia “a lungo rimasta celata”. L’unico anche, Napolitano, a non aver “partecipato” al proprio funerale: il feretro non c’era in Aula ma è rimasto nella Sala dei ministri, a Montecitorio, vegliato da due file di corazzieri. Riposerà nel cimitero acattolico di Roma, là dove si trovano le tombe di Emilio Lussu, Amalia Rosselli, Andrea Camilleri e dell’amato Antonio Gramsci.
Ma non è l’inedito l’unica chiave di lettura della giornata di oggi bensì, come sarebbe piaciuto a Napolitano, la politica.
Perchè un evento così è anche, per forza, un’occasione politica.
Non si poteva pensare altro a vedere fianco a fianco – in un momento delicatissimo nei rapporti tra l’Italia e la Germania e davanti alle ultime posizioni in tema di migranti della Francia – il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e quello tedesco Frank Walter Steinmeier e, poi, il francese Emmanuel Macron e, non distante, la premier italiana Giorgia Meloni. Tant’è che dopo le esequie la premier ha ricevuto Macron a Palazzo Chigi per un “incontro informale”. La politica, appunto.
La politica è il filo rosso che percorre tutta la vita di Giorgio Napolitano, la politica come “cosa seria”, “responsabilità”, “studio”, “confronto” e non “demagogia”, “urlo” e scontro con gli avversari. La politica che è “buone battaglie” ma anche “cause sbagliate” con il successivo, doloroso, tentativo di “correggere errori e di esplorare soluzioni nuove”. Lo ricorda, per primo, il figlio Giulio con un discorso fermo e dolcissimo nel quale la vita del militante, del presidente della Camera, dell’europarlamentare, del capo dello Stato e del senatore a vita si dipana attraverso il punto di vista di un bambino di prima elementare che raffigura il padre alla scrivania, intento a scrivere o a leggere e studiare.
Ecco, l’ha sempre visto così, senza che questo gli impedisse, racconta Giulio, di essere “un marito, un padre e un nonno affettuosissimo”. Ne è testimone la nipote Sofia May che svela un nonno presente e “non invadente”, pronto a offrire consigli ma anche un gelato a Villa Borghese, a suggerire libri ma anche cartoni animati, a essere europeo ma anche, profondamente, un uomo del Sud orgoglioso di mostrare Stromboli ai nipoti. E poi c’è Clio Bittoni, sposata nel 1959 e legata a Napolitano da un rapporto “indissolubile” capace di “superare differenze di carattere e di temperamento”, da entrambi, orgogliosamente, rispettosamente, coltivate fino all’ultimo. Tutti ricordano come, negli anni del Quirinale, la signora Clio sia stata capace di interpretare, in modo più moderno, il ruolo di first lady.
Infine è la politica a ricordare Napolitano, da punti di vista, storie e militanze diverse o, addirittura, opposte. Lo fa Gianni Letta, a lungo braccio destro di Berlusconi, rievocando “la convivenza difficile”, “in cui non mancarono i momenti di tensione” tra Napolitano al Quirinale e Berlusconi a Palazzo Chigi, ma assicura Letta – quasi, forse, volendo spegnere polemiche e alleggerire assenze nel centrodestra – “da entrambe le parti non vennero mai meno la volontà e la forza di mantenere il rapporto nella correttezza istituzionale”. Lo fa il presidente del Senato Ignazio La Russa sottolineando che “certo, come tutti i grandi leader, ha avuto nell’agone politico confronti e contrasti, anche duri”, ma “ha attraversato tempi perigliosi” affrontandoli sempre “con la coerenza dei propri convincimenti politici e culturali”.
Lo fa l’ex premier ed ora commissario europeo Paolo Gentiloni rammentando che per Napolitano l’Europa “è stata la via maestra” perchè per un “uomo di sinistra al servizio delle istituzioni” “l’avvenire dell’Italia non poteva, non doveva prescindere dalla collocazione europea”. Lo fa, commossa, Anna Finocchiaro, fiera di averlo “rispettato e amato”, ricordando che “ha speso la sua vita per l’Italia”. Con un certo temperamento. Quello di un uomo la cui scrittura si faceva tanto più “appuntita” quando, durante “tempestosi scambi di opinioni”, esprimeva critiche: “Io, più che le tesissime telefonate, temevo le sue lettere – confida l’ex ministra -, con scrittura tanto più puntuta e obliqua quanto più era arrabbiato con me”.
Un professore “severo”, chiosa Giuliano Amato. Uno che, in effetti, era capace di farti chiamare dall’ufficio stampa del Quirinale perchè, nel secondo take di un lancio d’agenzia, c’era un refuso nel titolo di un quadro di una mostra che aveva visitato da presidente della Repubblica. Ma la forma è sostanza quando “la politica è una cosa seria”.
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