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Bruxelles, 26 giu. (askanews) – Alzare la voce per cercare di aver maggior potere negoziale; affermare di puntare al bersaglio grosso (cambiare la politica dell’Europa) per arrivare al minimo, un ruolo pesante per l’Italia nella prossima Commissione Ue; drammatizzare la situazione, forse anche per esigenze di politica interna. Giorgia Meloni si presenta alla Camera e al Senato alla vigilia del Consiglio europeo che dovrebbe dare il via libera all’intesa sui top jobs – Antonio Costa presidente del Consiglio, Ursula von der Leyen presidente della Commissione, Kaja Kallas alto rappresentante per la politica estera – e alza i toni proprio in vista della trattativa sul ruolo dell’Italia: la premier vorrebbe una vicepresidenza (ma molto difficilmente potrebbe essere esecutiva) e deleghe di peso per il commissario, ruolo per il quale sembra rafforzarsi la candidatura di Raffaele Fitto.

Intervenendo in Aula a Montecitorio, Meloni attacca dunque “metodo e merito” del pacchetto proposto dalla maggioranza formata da Ppe, S&D e Renew. Di fronte a un voto popolare che, secondo lei, ha mostrato con “segnali chiari” la richiesta di un “cambiamento”, le “classi dirigenti europee sembrano purtroppo tentate dal nascondere la polvere sotto il tappeto, dal continuare con vecchie e deludenti logiche come se nulla fosse accaduto”. Un’Europa “sempre troppo uguale a se stessa” se non “autoreferenziale” ha commesso dunque l’errore di non imparare dai propri errori, di non scostarsi da quella tendenza “troppo invasiva” che rischia di “omologare culture, tradizioni, specificità geografiche e sociali”. L’obiettivo dovrebbe essere quello di “fare meno e di farlo meglio”, diventare un “gigante politico” invece che un “gigante burocratico”.

In particolare – elenca – l’Europa dovrebbe “aumentare la propria autonomia strategica”; incrementare gli investimenti con “strumenti comuni adeguati” perché nessun singolo Stato membro può farcela da solo; “disboscare pesantemente” la “selva burocratica e amministrativa”, creando anche una nuova delega ad hoc; combattere la concorrenza sleale. Naturalmente una priorità per l’Italia è la questione migratoria con la “difesa dei confini esterni, il contrasto all’immigrazione irregolare di massa, l’impegno per stroncare il business disumano dei trafficanti di esseri umani” perché l’Europa non può “più tollerare un crimine universale come la schiavitù”. E questo si fa con gli accordi come quelli come Egitto e Tunisia e affrontando le cause profonde delle migrazioni, come l’Italia fa con il Piano Mattei “che stiamo progressivamente implementando”. Altro tema strategico è quello della sicurezza e della difesa comune: occorre “accelerare la strada verso una politica industriale comune nel settore della difesa” ma per finanziarla bisogna “immaginare soluzioni innovative, aprendo anche alla possibilità di obbligazioni europee”.

Meloni ribadisce anche il sostegno italiano al “processo di allargamento” ad Est nel “rispetto dei valori europei” e l’impegno dell’Italia nella transizione green, ma se “siamo i primi difensori della natura” la “vogliamo difendere con l’uomo dentro”. Dunque scelte pragmatiche dopo anni di “follia ideologica, che lavoreremo per correggere”. Altra sfida a cui l’Italia tiene particolarmente è quella demografica, a sostegno della natalità.

Alle ultime elezioni secondo la premier i cittadini hanno detto “chiaramente qual è il modello che preferiscono” con “la bocciatura delle politiche portate avanti dalle forze di governo in molte delle grandi nazioni europee”. Il riferimento è a Francia, Germania, Spagna, con solo il governo italiano che ha avuto un risultato “positivo”. Alla democrazia, però, l’Europa sta preferendo “una visione oligarchica” in cui “la logica del consenso” è stata sostituita dalla “logica dei caminetti”, da una “sorta di ‘conventio ad excludendum’ in salsa europea”. Su questa base, contesta, Ppe, S&D e Renew (una “maggioranza fragile”) alla prima riunione si sono presentati “direttamente con le proposte di nomi per gli incarichi apicali senza neanche fingere di voler aprire una discussione su quali fossero le indicazioni arrivate dai cittadini con il voto”.

La realtà è che Meloni sa bene che l’unica maggioranza possibile, numeri alla mano, è quella attuale, di cui Ecr non può far parte per l’opposizione del Pse ma anche di parte del Ppe. Ma sa anche che come leader di Fdi il suo posto sarà all’opposizione nel Parlamento di Strasburgo (dove comunque non di rado le maggioranze sono a geometria variabile), ma come presidente del Consiglio dovrà trattare sul commissario e poi far partire, più o meno esplicitamente, l’esecutivo comunitario. Da parte sua, secondo quanto riferiscono fonti europee, Ursula von der Leyen sarebbe assai ben disposta ad accogliere le sue richieste, fin dove possibile, in cambio di una ‘non opposizione’ in Consiglio e in occasione del voto all’Europarlamento per ridurre il rischio di essere impallinata dai franchi tiratori.

“Dobbiamo lavorare per vederci riconosciuto ciò che spetta all’Italia come nazione, non al governo, non a questo o a quel partito, ma alla nazione”, è stata la conclusione di Meloni, che ha chiesto all’opposizione di “fare gioco di squadra”, salvo poi assestare una ‘stoccata’ al Pd: “La collega Madia spera che avremo un ruolo importate come quello di ora”, il commissario all’economia Paolo Gentiloni, “io spero di riuscire a far meglio”. Anzi, si dice sicura, andrà a Bruxelles a “testa alta” e non come una “cheerleader” di qualcuno, portando a casa il risultato.

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