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Milano, 11 ott. (askanews) – Eclettico, enigmatico, a suo modo leggendario. James Lee Byars è un artista difficile da incasellare, che ha però lasciato un segno nel contemporaneo, grazie soprattutto alla capacità di stratificare linguaggi diversi, dalle grandi sculture o installazioni fino alla performance. Pirelli HangarBicocca a Milano gli dedica una mostra che comprende opere realizzate tra il 1974 e il 1997, anno della sua morte. A curarla Vicente Todolì, direttore artistico del museo. “James Lee Byars – ha spiegato ad askanews – è un outsider, è un ‘maverick’, come dicono in America, ossia un toro che si muove fuori dal branco. Nato a Detroit, sceglie però come suo luogo dei sogni il Giappone. E molto giovane si trasferisce lì”.

L’esperienza giapponese è fondamentale nella traiettoria artistica di Byars, che subisce influenze dal teatro No come dal buddismo zen, che a loro volta si innestano nella cultura artistica e filosofica dell’occidente, di cui era profondo conoscitore. E questa intersezione genera una figura che sostanzialmente è unica e che sapeva muoversi in modo originale sulla scena dell’arte, tanto concettuale quanto performativa. “Era un po’ anche sciamano – ha aggiunto il direttore di HangarBicocca – e le sue performance non erano momenti isolati della vita normale, per lui la vita era invece un’azione continua”.

Il flusso costante del lavoro di James Lee Byars viene bene interpretato anche dallo spazio espositivo delle Navate, che è enorme e difficile da occupare: alcune opere di grandi dimensioni lo fanno con naturalezza, altre invece lo fanno con l’energia e il senso di urgenza che solo i precursori riescono a tenere così alto. In alcuni casi lo scambio con l’ambiente riesce alla perfezione, in altri è più faticoso, ma questo fluire di sensazioni garantisce vita a tutta la mostra.

“Qui ci siamo concentrati sulle opere che realizza a partire dagli anni Settanta – ha concluso Todolì – che sono come dei veicoli che trasportano la sua riflessione sull’effimero, ma anche sull’eterno. E la sfida era proprio portare il suo lavoro in uno spazio ex industriale come questo, mentre lui preferiva spazi barocchi o rinascimentali, con una componente molto forte della storia”.

La sensazione che si percepisce, implicita ma costante, è quella di una spiritualità diffusa, che non prende la forma di affermazioni positive o esemplari, ma è la base che rende possibile l’idea stessa di uno spirituale nell’arte contemporanea. Qualunque cosa questo possa significare. (Leonardo Merlini)

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