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Milano, 16 feb. (askanews) – Due fotografi che guardano al mondo in modo impietoso, ma, proprio per questo, arrivano in fondo a suscitare una forma di nuova empatia, magari complessa, ma reale. A Milano hanno aperto due mostre di fotografia diverse, ma unite dal talento evidente degli autori: Jurgen Teller in Triennale e Martin Parr al Mudec.
“I need to live” è la grande esposizione su Teller, artista caleidoscopio dotato di spirito irriverente, capace di dare una forma visiva a pulsioni e intimità, con un linguaggio contemporaneo e di forte impatto. Il tono grottesco è spesso evidente, ma è altrettanto chiaro che c’è una vicinanza ai soggetti, spesso lo stesso fotografo o suoi familiari, che unisce ironia e affetto. Pur nella frequente nudità dei corpi, che sembra più un monito sulla fragilità umana anziché una forma di provocazione, i messaggi che arrivano sono esistenziali, toccano le grandi questioni della morte, dell’amore, della vita e dell’essere vivi, come dice il titolo dell’esposizione in Triennale. C’è un fondo di follia in ogni cosa, sembrano sottolineare le sue fotografie, del resto serve follia anche da parte di chi ha il coraggio, come fanno le immagini del fotografo tedesco, di affrontare la vita vera per quello che è, ossia, come diceva David Foster Wallace, “semplicemente troppa”. Teller gioca lo stesso tipo di partita, e anche la sua fotografia sembra “troppa”, ma proprio per questo ha la forza di apparirci poi “vera”.
“Martin Parr – Short & Sweet” è invece il titolo della mostra allestita negli spazi dedicati alla fotografia del Museo delle Culture: un progetto curato dallo stesso fotografo britannico con Magnum Photos che si inserisce nella vocazione antropologica del Mudec utilizzando i linguaggi del contemporaneo. Anche qui con una forte componente grottesca, ma, di nuovo, senza giudizio, anzi con una sorta di ruvida tenerezza per i protagonisti delle sue fotografie quasi sempre coloratissime e così realistiche da sembrare perfino impossibili. Ma nonostante la vena surreale degli scatti, Martin Parr resta un fotoreporter, un cronista visivo che realizza reportage, come quello sulla spiaggia di Brighton, che sono al tempo stesso saggi visuali e indagini sociologiche amare, ma raccontate con una postura che possiamo definire comica, nel senso profondo e letterario del termine. L’umanità ritratta da Parr, sia che si tratti della regina Elisabetta, sia di ballerini improvvisati e sopra le righe, è senza filtro, ma è umanità, non lo dimentica, anzi sembra accettare i propri limiti e farli diventare quasi delle qualità. Che le fotografie riescono a farci intuire sotto tutto il rumore e la frequente volgarità del mondo che ci sta intorno.
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