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Milano, 29 dic. (askanews) – Conti correnti degli italiani colpiti dall’inflazione e dal caro-vita: nell’ultimo anno il saldo totale dei depositi bancari di famiglie e imprese è sceso di 152 miliardi di euro, da 1.452 miliardi a 1.300 miliardi, pari a una riduzione del 10,5%. Il dato si riferisce al periodo che va da ottobre 2022 a ottobre 2023: la diminuzione è causata dall’aumento dell’inflazione e dal caro-vita, che ha costretto le famiglie ad attingere ai loro risparmi per far fronte alla fiammata dei prezzi, e poi dall’incremento dei tassi di interesse sui prestiti, che ha spinto le imprese a utilizzare le loro riserve bancarie in sostituzione dell’indebitamento, diventato troppo oneroso. È quanto merge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale una parte del denaro sui conti correnti, circa 85 miliardi, è stata spostata sui deposti per i quali le banche riconoscono tassi di remunerazione in media superiori al 3%, mentre sui conti correnti la media è inferiore all’1%.

“L’inflazione è la peggiore e la più ingiusta delle tasse: colpisce soprattutto le fasce di cittadini più deboli e limita la capacità delle imprese di investire per crescere. L’indice dei prezzi è calato nell’ultimo anno dal 10 al 5 per cento, ma il danno ormai c’è ed è sotto gli occhi di tutti. La cura della Bce si è rivelata limitata e limitante: a questo punto serve una inversione di tendenza e il costo del denaro va tagliato già nel primo semestre del 2024” commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.

Secondo il report del Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato dati statistici della Banca d’Italia, il totale dei depositi dei privati è calato da ottobre 2022 a ottobre 2023 di 78 miliardi di euro (-4,5%), passando da 1.701 miliardi a 1.623 miliardi. Nel dettaglio, le riserve delle famiglie sono scese di 66 miliardi (-5,6%), da 1.170 miliardi a 1.104 miliardi. I salvadanai delle aziende sono diminuite di 7 miliardi (-1,7%), da 409 a 402 miliardi, mentre quello delle imprese familiari sono calate 5 miliardi (-5,7%), da 87 miliardi a 82 miliardi. Per quanto riguarda le onlus, invece, il saldo è inalterato a quota 35 miliardi. Sui conti correnti, si è registrato un calo complessivo di 152 miliardi di euro, da 1.452 miliardi a 1.300 miliardi, pari a una riduzione del 10.5%. Tale diminuzione è da ascrivere a due fattori: il primo è l’utilizzo delle riserve, sopratutto da parte delle famiglie, ma anche da parte delle imprese, per far fronte da un lato all’aumento dei prezzi e dall’altro all’incremento dei tassi d’interesse sui prestiti, diventati troppo onerosi; il secondo fattore è lo spostammo di una parte della liquidità, su strumenti bancari che assicurano una remunerazione maggiore alla clientela. Ammonta a circa 84 miliardi di euro, infatti, l’aumento dei depositi con durata prestabilita e quelli rimborsabili con preavviso. I restanti 78 miliardi sono invece la quota usata da famiglie e imprese per difendersi da inflazione e tassi alti.

“La riduzione dell’inflazione da oltre il 10% di fine 2022 al 5% circa di oggi non ha comportato una discesa dei prezzi. Si tratta di una discesa virtuale perché in realtà il costo della vita continua a salire, con l’unica differenza che la curva è meno ripida rispetto a qualche mese fa – commentano gli analisti del Centro studi di Unimpresa – I prezzi, insomma, non tornano indietro. In buona sostanza, in pochi mesi, nell’arco dello scorso anno, il quadro inflattivo è cambiato come non era mai accaduto nella storia dell’euro, anche se con talune differenze e specificità all’interno dell’area euro. Per quanto riguarda il saldo dei conti correnti, il danno è nell’immediato per le famiglie e per le imprese, i cui salvadanai sono assai meno ricchi rispetto al passato; ma a pagare il conto è anche il settore bancario che avrà meno liquidità a disposizione per erogare credito alla clientela, aggravando quindi una situazione già fortemente negativa”.

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