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Tokyo, 8 nov. (askanews) – “Più uniti che mai”. I ministri degli Esteri del G7 chiudono la ministeriale di Tokyo, che segna il passaggio della presidenza del Gruppo all’Italia, con una dichiarazione comune che certifica la solidità di un blocco che si era presentato in Giappone con qualche piccola crepa. A destare più di una preoccupazione, alla vigilia dell’incontro, erano alcune sfumature di posizione dei Paesi membri sull’escalation militare tra Israele e Hamas. Differenze che sono state superate grazie a due giorni di colloqui “aperti e schietti”, che hanno consentito ai capi della diplomazia di Italia, Giappone, Stati Uniti, Canada, Germania, Francia e Regno Unito di esprimere con una voce comune una dura condanna degli attacchi di Hamas e un convinto “sostegno al diritto di Israele di difendersi”, seppur “in conformità con le leggi internazionali”. “Un’unità d’intenti” confermata anche in occasione dell’incontro bilaterale che il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha avuto con il segretario di Stato americano Antony Blinken.

Durante i negoziati, a cui ha partecipato anche l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera Josep Borrell, i ministri hanno chiesto “il rilascio immediato di tutti gli ostaggi senza precondizioni” ed hanno espresso preoccupazione per “l’aumento della violenza estremista commessa dai coloni”, definita “inaccettabile” nella dichiarazione finale del vertice. “Già da tempo abbiamo invitato i coloni israeliani a non compiere atti di violenza che poi si ritorcerebbero contro Israele stessa”, ha confermato Tajani, alludendo alla possibilità che atti ostili di questo tipo possano rappresentare una minaccia per le prospettive di una pace duratura. Pace che, d’altra parte, resta l’obiettivo finale di tutti i membri del G7 e del Governo italiano, in qualità di prossimo presidente del Gruppo.

Israeliani e palestinesi hanno “lo stesso diritto di vivere in sicurezza, dignità e pace”, hanno sottolineato a questo proposito i capi della diplomazia, ribadendo che la soluzione a due Stati, che prevede che Israele e uno Stato palestinese vitale vivano fianco a fianco in pace, sicurezza e riconoscimento reciproco, rimane l’unica via verso una pace giusta, duratura e sicura”. Certo, servirà tempo e bisognerà preparare una “fase di transizione”, prevedendo magari la presenza a Gaza di un contingente dell’Onu, militare e civile, sul modello di quanto già avvenuto in Libano. Si tratterebbe di una sorta di “Unifil plus”, hanno spiegato fonti diplomatiche, facendo riferimento agli eventuali compiti che verrebbero assegnati ai peacekepers delle Nazioni Unite.

Nel frattempo, però, sarà necessaria “un’azione urgente” per affrontare il deterioramento della crisi umanitaria nella Striscia. Tutte le parti dovrebbero consentire il libero sostegno umanitario ai civili, compresi cibo, acqua, assistenza medica, carburante e alloggio, nonché l’accesso agli operatori umanitari, hanno concordato i ministri, esprimendo “fermo consenso” sull’ipotesi di instaurare “pause e corridoi umanitari” per facilitare l’assistenza necessaria, il movimento dei civili e il rilascio degli ostaggi.

Un passaggio, questo, su cui si sono registrate le principali frizioni. Lo stesso Blinken, che ha descritto tutto ciò come “un lavoro in corso”, ha riconosciuto profonde divisioni sul concetto di pausa. D’altra parte, Israele non è totalmente convinto e le nazioni arabe e musulmane chiedono un cessate il fuoco immediato e totale, cosa a cui gli Stati Uniti e i loro alleati si oppongono. Il ministro britannico James Cleverly ha confermato a un gruppo selezionato di testate giornalistiche, tra cui l’Associated Press, che il suo governo sostiene solo una “pausa umanitaria” specifica, limitata nel tempo e geograficamente. Non un cessate il fuoco più ampio. “In primo luogo, non abbiamo visto e sentito assolutamente nulla che ci faccia credere che la leadership di Hamas sia seria riguardo al cessate il fuoco”, che ostacolerebbe la capacità di Israele di difendersi, ha affermato.

Quanto agli altri temi sul tavolo, i ministri hanno ribadito il loro “fermo impegno a sostenere la lotta dell’Ucraina per la sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale”, precisando che “non verrà mai meno”. Il G7 aumenterà la pressione economica sulla Russia e continuerà a lavorare per “robuste sanzioni e altre restrizioni contro Mosca”, hanno sottolineato i ministri nella loro dichiarazione finale. Una pace giusta e duratura non può essere realizzata senza il “ritiro immediato, completo e incondizionato” delle truppe e dell’equipaggiamento militare russo dal territorio riconosciuto a livello internazionale dell’Ucraina, hanno insistito, assicurando l’impegno a sostenere l’ulteriore sviluppo della Formula di Pace proposta dal presidente Volodymyr Zelensky.

Al contrempo, i capi della diplomazia del Gruppo hanno invitato i paesi terzi a non fornire assistenza economica e militare a Mosca. Fortemente indiziate, la Nordcorea e la Cina. Quest’ultima è stata indicata come un possibile interlocutore sulle sfide globali e sulle aree di interesse comune. “Siamo pronti a costruire relazioni costruttive e stabili con la Cina”, è stato spiegato. “Agiamo nel nostro interesse nazionale. Chiediamo a Pechino di impegnarsi con noi”.

Di tutti questi temi si continuerà a discutere anche l’anno prossimo. Saranno al centro della presidenza italiana del G7, che ha tra i suoi principali obiettivi la pace e la difesa della democrazia contro le dittature e le autocrazie. Tajani ha annunciato che la ministeriale Esteri avrà luogo a Capri, dal 17 al 19 aprile prossimi.
(di Corrado Accaputo)

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