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Roma, 12 dic. (askanews) – La venticinquesima stagione di Flautissimo, il festival di parole, teatro e musica diretto da Stefano Cioffi, si appresta alla conclusione con il triplo “tutto esaurito” della prima assoluta del reading di Valerio Aprea “Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta” di Sandro Bonvissuto, in scena al Teatro India di Roma il 14 e 15 dicembre alle ore 21 e il 16 dicembre alle ore 19.

Il primo racconto scritto da Sandro Bonvissuto diventa un reading teatrale, magistralmente interpretato da Valerio Aprea. Nel pomeriggio di un giorno d’estate un padre insegna al figlio ad andare in bicicletta; le cose da bambini, dalle quali ci si congeda con lentezza, si infrangono su quell’istante in cui la vita chiede di diventare grandi in un solo momento. La voce narrante della vita interiore ci accompagnerà lungo il percorso che porta l’individuo nel punto in cui si comincia ad abbandonare la casa della propria infanzia per gettarsi nel mondo degli adulti. Il tutto avviene su di una strada che costeggia il mare, davanti allo sguardo di un padre, di pochi amici, e del sole che tramonta sull’orizzonte e su un’era della vita di ciascuno.

Quando leggi Bonvissuto accade che all’inizio noti questa sua modalità di procedere per alternanza tra trama e digressione. Poi ti accorgi che digressione non è proprio il termine esatto perché in realtà quelli sono più degli approfondimenti su concetti che il racconto tocca in quei determinati punti. Ma sulle prime quegli approfondimenti non pare ti riguardino più di tanto, capisci che hanno tutta una loro dignità, ma probabilmente su fatti cari all’autore e che tu non cogli se non in modo semplicemente cognitivo. A un certo punto però ne arriva un altro e stavolta dici, no, un momento, questa cosa però non è niente male, cioè, ho capito che mi vuole dire, cosa mi sta indicando. Da quel momento è finita. Ci sei dentro fino al collo. Perché ti rendi conto che ognuno di quei momenti, di quelle riflessioni, ti riguarda eccome perché ti parla di questioni che realizzi di aver sempre pensato ma mai formulato; e lo fa con un meccanismo di vera e propria vivisezione di concetti e pensieri che ingrandisce al microscopio fino a vederne le particelle più piccole, le sottigliezze più inesplorate, generando così un’esplosione di contenuto e di senso di cui non puoi più fare a meno. Valerio Aprea

È sempre difficile, anzi, molto spesso inutile, percorrere la strada che porta a ritroso fino all’origine delle cose, ma se qualcuno avesse interesse nel sapere dove è iniziata la mia personale storia di scrittore, posso rispondere che tutto è cominciato con il racconto della bicicletta. È stata quella la prima volta nella quale ho scritto liberamente, solo perché mi andava di farlo e senza nessun obbligo. Ho composto quel testo in una casa che sta a viale Marco Polo, sopra ad una strana scrivania di mia costruzione, che univa trasversalmente due muri a 90 gradi. Quindi era un piano triangolare che finiva a punta nella congiunzione delle due pareti. E l’ho sentito e visto subito tutto per intero, anche se ci ho lavorato per diversi giorni consecutivi. Non so, quindi, se si possa ritenere redatto in un’unica soluzione, ma per me è stato così, perché per tutti quei giorni non ho pensato mai a nient’altro che a quelle pagine. Dopo di che una donna mi spinse a inviarlo ad un concorso per aspiranti scrittori che si svolgeva all’interno della mostra “Più Libri, Più Liberi” di Roma, al quartiere dirigenziale EUR. Così diedi retta a lei e inviai il mio cartaceo al comitato di giuria, e il racconto, diminuito nelle battute perché rientrasse nelle regole, venne riconosciuto e premiato con la pubblicazione (assieme ad altri) in un volumetto stampato per l’occasione da un piccolo editore che aveva sede a Roma. E quello fu in quel momento il giorno più bello della mia vita, pensai che la mia carriera di scrittore si fosse coronata del tutto, cominciata e conclusa in quei giorni, e nel migliore dei modi. E invece di lì a poco mi avrebbe investito una cascata di eventi che mi portarono al contratto editoriale con Einaudi senza nessuna preparazione, passai in un attimo dalla scrittura dilettantistica alle collane autoriali dell’editoria industriale del nord. Un po’ come se un ragazzino che gioca a pallone nel campetto della parrocchia con gli amichetti, fosse convocato a fare il provino dal Manchester United. Devo tutto alla storia della bicicletta. Che poi finì per fare parte dell’indice del mio primo libro Einaudi intitolato Dentro, perché, e questa è la frase finale di quel racconto, non avrebbe potuto essere altrimenti. Sandro Bonvissuto

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