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Roma, 15 feb. (askanews) – L’Europa dovrebbe affrontare il cambiamento economico in corso, con politiche fiscali che rispettino “i valori sociali europei” e ampliare il finanziamento degli investimenti in una dimensione collettiva, anche attraverso l’emissione di debito comune. L’ha detto l’ex presidente del consiglio Mario Draghi, intervenendo in occasione del conferimento del Paul A. Volcker Lifetime Achievement Award
nel contesto della 40th Annual NABE Economic Policy Conference “Navigating Geopolitical Turbulence and Domestic Uncertainty” a Washington.

Draghi ha sottolineato come “questa fase di profondo cambiamento nell’ordine economico globale porta con sé sfide altrettanto profonde per la politica economica”. Cambierà “la natura degli shock ai quali sono esposte le nostre economie” ed è “probabile che, nella fase di adattamento delle nostre economie a questo nuovo contesto, si presentino shock di offerta negativi più frequenti, più irregolari e anche più ampi” non “solo da nuove frizioni nell’economia globale – ad esempio conflitti geopolitici o disastri naturali – ma ancor più dalle risposte di policy che noi stessi metteremo in atto per mitigare quelle frizioni”. Inoltre “la politica fiscale sarà chiamata a svolgere un ruolo più significativo, il che significa – a quanto posso aspettarmi – deficit pubblici persistentemente più alti”, perché dovrà “incrementare gli investimenti pubblici per soddisfare la gamma di nuove esigenze di investimento”. I governi dovranno “affrontare – ha sostenuto ancora Draghi – le disuguaglianze in materia di ricchezza e reddito” ed è “probabile che la politica fiscale si trovi a dover svolgere anche un maggior ruolo di stabilizzazione – un ruolo che in precedenza avevamo attribuito principalmente alla politica monetaria”. Ancora, visto che “stiamo entrando in un’era di maggiori rivalità geopolitiche e relazioni economiche internazionali più transattive, i modelli di business basati su ampi surplus commerciali potrebbero non essere più sostenibili politicamente”.

Queste sfide richiedono, al fine di “stabilizzare il potenziale di crescita e ridurre la volatilità dell’inflazione”, un “cambiamento nella strategia di policy complessiva, che si concentri sia sul completamento delle transizioni in corso sul lato dell’offerta, sia sullo stimolo alla crescita della produttività, campo in cui un’ampia adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe essere d’aiuto”, secondo Draghi. Ma per fare tutto questo a una certa velocità “sarà necessario un policy mix adeguato: un costo del capitale sufficientemente basso per anticipare la spesa per gli investimenti, una regolamentazione finanziaria che supporti la riallocazione di capitale e l’innovazione, politiche della concorrenza che facilitino gli aiuti di Stato laddove siano giustificati”.

Si tratta di un nuovo approccio, che richiederà un aumento del coordinamento tra le politiche, al quale “l’architettura della nostra politica macroeconomica non è progettata”, spiega Draghi, sottolineando come “l’indipendenza non deve significare separazione, e le diverse autorità possono unire le forze per aumentare lo spazio politico senza compromettere i rispettivi mandati”. Draghi ha fatto l’esempio della risposta alla pandemia “quando le autorità monetarie, fiscali e di vigilanza bancaria hanno unito le forze per limitare i danni economici dei lockdown e prevenire una recessione deflazionistica”.

Una strategia coerente di policy, in questo senso dovrebbe prevedere, per Draghi, “un percorso fiscale chiaro e credibile che si concentri sugli investimenti e al contempo, nel nostro caso, preservi i valori sociali europei”. Ciò darebbe alle banche centrali “maggiore fiducia nel fatto che la spesa pubblica oggi, aumentando la capacità di offerta, porterà a un’inflazione più bassa domani”. E, in Europa in particolare, dove le politiche fiscali sono decentralizzate, “possiamo anche fare un ulteriore passo avanti finanziando una quota maggiore di investimenti in modo collettivo, a livello di Unione”. In tal senso – ha insistito Draghi – “l’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a nostra disposizione, allentando così almeno in parte la pressione sui bilanci nazionali”. Allo stesso tempo, poiché il modo di spendere dell’Ue è più programmatico – spesso su un orizzonte pluriennale – “investire a livello di Unione rappresenterebbe un più forte impegno a far sì che la politica fiscale sia in ultima analisi non inflazionistica, il che si potrebbe riflettere nelle proiezioni delle banche centrali sull’inflazione a medio termine”.

In secondo luogo, secondo l’ex premier, “se le autorità fiscali delineassero in questo modo percorsi fiscali credibili, alle banche centrali spetterebbe il compito di assicurarsi che la bussola principale per le loro decisioni sia rappresentata dalle aspettative di inflazione”. Nei prossimi anni la politica monetaria – ha spiegato Draghi – “si troverà ad affrontare un ambiente difficile in cui, più che mai, dovrà distinguere tra inflazione temporanea e inflazione permanente, tra crescita di recupero dei salari e spirali self-fulfilling, tra le conseguenze inflazionistiche della spesa pubblica buona e di quella cattiva”. In questo contesto, “una misurazione accurata e un focus meticoloso sulle aspettative di inflazione sono il modo migliore per garantire che le banche centrali possano contribuire a una strategia di policy complessiva senza compromettere la stabilità dei prezzi o l’indipendenza. Questa bussola consente di distinguere con precisione gli shock temporanei al rialzo dei prezzi – come ad esempio gli spostamenti dei prezzi relativi tra settori o l’aumento dei prezzi delle commodity derivanti da maggiori investimenti – dai rischi di inflazione generalizzata”.

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