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Roma, 22 lug. (askanews) – “Todo o nada”, tutto o niente: a decidere della sorte politica del premier spagnolo Pedro Sanchez saranno i trentasei milioni di elettori che si recheranno domenica alle urne in una data estiva del tutto insolita, frutto della scelta del governo di fare ricorso al voto anticipato. Una scommessa – dovuta alla secca sconfitta del partito Socialista alle recenti amministrative – che Sanchez non dispera tuttavia di vincere.

La maggior parte dei sondaggi vede infatti favorita la destra del Partido Popular, sia pure di stretto margine; ma a decidere le sorti della governabilità sarà il risultato delle forze minori, dato che nessuno dei due partiti principali ha i numeri per una maggioranza assoluta. Psoe e Pp sono accreditati di circa il 30% delle preferenze, un dato peraltro difficile da tradurre in seggi visto il sistema proporzionale corretto che – non casualmente – premia il voto urbano e i partiti a più ampia distribuzione nazionale, ma sicuramente sotto la soglia fatidica dei 176 deputati necessari.

LA SINISTRA

Il Psoe arriva alle elezioni col fiato corto: malgrado i buoni risultati economici complessivi, il governo ha subito una costante erosione di consensi dovuta (come altrove) alla sequenza del Covid e del conflitto ucraino, e alcuni provvedimenti benintenzionati ma piuttosto pasticciati in materia di diritti non hanno aiutato. Piuttosto che sopportare una interminabile campagna elettorale di sei mesi, Sanchez ha quindi optato per il voto anticipato, sperando in tal modo di mobilitare un elettorato di sinistra apparso tutt’altro che entusiasta, anche di fronte alla minaccia dell’approdo dell’ultradestra di Vox al governo.

Perché la scommessa abbia successo tuttavia Sanchez deve sperare non solo in un buon risultato del socialisti, ma anche della neonata coalizione Sumar (ovvero Podemos e altre formazioni minori della sinistra), varata per necessità elettorali ma che al momento viene data come terza forza, con un 14% dei consensi. La somma dei deputati potrebbe permettere al premier di riproporre la coalizione attualmente al governo, senza peraltro risolverne i problemi interni – come il peso dei partiti catalani e baschi, che potrebbero rivelarsi decisivi.

LA DESTRA

Il Pp di Alberto Nuñez Feijoo è dato come favorito per la vittoria finale, sebbene in leggero calo stando agli ultimi sondaggi: ma l’ex governatore della Galizia ha dovuto rompere gli indugi ed esplicitare l’obbligo di un’intesa con Vox come condizione necessaria per poter governare, intesa già varata peraltro in diverse comunità autonome all’indomani delle amministrative. In generale, non si tratterebbe certo di una rivoluzione, dal momento che la differenza fra i due partiti è più formale che sostanziale; e tuttavia, non è scevra da rischi dal momento che una frazione dell’elettorato moderato – di cui Feijoó vorrebbe farsi portavoce – potrebbe rifuggire da un coinvolgimento diretto di Vox al governo, con un conseguente travaso di voti verso il Psoe (che di fatto è ormai un partito centrista a esclusiva vocazione governativa) o l’astensione; inoltre, potrebbe mobilitare l’elettorato di sinistra – il che è esattamente ciò che spera Sanchez.

Per Vox, dato come quarta forza con un 13% dei voti – peraltro in netto calo rispetto alle ultime politiche – il voto è la grande occasione di istituzionalizzarsi e certificare l’opa su almeno una parte della base del Pp, che dopo aver rifagocitato Ciudadanos sperava di poter fare rientrare nei ranghi anche la sua ala più estrema e riconquistare in tal modo l’egemonia politica della destra. Per il resto, il programma di governo non sarebbe un problema: Vox, alfiere del nazionalismo “españolista”, vuole semplicemente quel che vorrebbe il Pp se non fosse costretto ad automoderarsi per non perdere quella parte del voto centrista necessario per assicurarsi la maggioranza.

LE ALTRE FORZE

Pochi deputati, ma che possono fare la differenza: sono quelli degli indipendentisti catalani di Erc, Junts e della Cup, dei nazionalisti baschi del PNV e della sinistra radicale di Bildu, nonché delle altre formazioni regionali minori. Per loro, il voto è l’occasione di poter costringere il futuro governo di Madrid, quale che sia. a concessioni economiche – e nel caso catalano, politiche. A Barcellona tuttavia il fronte indipendentista non è affatto unito: se la sinistra di Erc insiste per un voto utile che fermi l’ascesa di Vox, i conservatori di Junts non considerano affatto la sopravvivenza di Sanchez una priorità, dato che nei fatti la differenza di atteggiamento fra Psoe e Pp, fatta salva una maggior teorica disponibilità al dialogo dei socialisti, si è rivelata minima. Il governo uscente ha sì instaurato un “tavolo di discussione”, sostenuto da Erc, che al momento tuttavia si è distinto solo per gli innumerevoli rinvii: per Junts – vicina alle posizioni dell’ex presidente della Generalitat, Carles Puigdemont – una semplice perdita di tempo.

Infine, l’astensione: la data non aiuta di certo, mentre il voto postale ha fatto registrare un nuovo record fra gli elettori vacanzieri; se tradizionalmente la bassa affluenza favorisce la destra, percentuali inusitatamente alte potrebbero effettivamente indicare una mobilitazione a sinistra ma renderebbero i sondaggi – tarati su una partecipazione media – pressoché inutili.

I seggi si apriranno alle 9 e si chiuderanno alle 20; i primi exit poll sono attesi per le 21 (ovvero le 20 alle Canarie) e lo scrutinio dovrebbe essere completato già nella notte.

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