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Basilea, 13 feb. (askanews) – C’è un momento nel quale la fotografia diventa in modo clamorosamente manifesto arte contemporanea. Quel momento ha un nome, ed è quello del canadese Jeff Wall, artista colto e consapevole, che ha saputo ottenere dalla fotografia risultati straordinari all’insegna di un concetto semplice nella sua impossibilità: creare una realtà fotografica profondamente vera utilizzando la costruzione e, nei fatti la finzione. La Fondation Beyeler, celebre museo di Basilea, gli dedica ora una grande mostra antologica che ripercorre tutta la carriera e tutte le diverse tipologie di opere di Wall. A curarla è stato chiamato Martin Schwander: “Jeff Wall – ha detto ad askanews – è uno dei più importanti artisti contemporanei e il suo metodo è quello di produrre immagini che sembrano reali, ma che spesso non lo sono. Nel senso che lui costruisce le immagini, in modi diversi, ma il risultato è un ‘simulacro’ della realtà. Al tempo stesso però lui realizza anche fotografia tradizionale, o di documentazione. Insomma, Jeff Wall utilizza tutte le opzioni che il medium fotografico gli consente come artista”.
Opzioni che hanno una potenza narrativa sorprendente e hanno un potere visionario così forte da apparire talvolta quasi banali, come nel gioco di sguardi tra due uomini nella luce del tramonto, oppure nella scena collettiva di fronte a un nightclub. Ma questa, se volete, semplicità, ha in sé in realtà la natura profonda delle cose, il modo in cui noi vediamo il mondo: quindi le immagini risuonano al massimo grado nella nostra percezione di spettatori. Come un dipinto – e sono evidenti le citazioni della Colazione sull’erba di Manet, così come di un Trittico di Francis Bacon conservato proprio alla Beyeler – o un romanzo, opere insomma che sembrano più vere del vero, “larger than life”, come dicono gli anglosassoni. E altrettanto chiara è la sensazione di stare guardando “arte”.
“Ha a che fare anche con la scala – ha aggiunto Schwander – perché sono fotografie molto grandi, che hanno la stessa dimensione dei grandi dipinti del XIX secolo per esempio. Al tempo stesso Wall conosce benissimo la storia dell’arte e conosce il modo in cui si compongono i dipinti e tutto ciò converge nelle sue immagini molto sofisticate, molto elaborate e molto ricche”.
E poi ci sono le immagini impossibili, sia che siano ispirate alla guerra sovietica in Afghanistan, o a un ragazzino che cade da un albero o a una delle fotografie simbolo dell’esposizione alla Beyeler: “Un’improvvisa folata di vento”, ispirata a Hokusai. Jeff Wall ferma letteralmente il tempo e attraverso la costruzione e il lavoro a più livelli di immagine riscrive completamente il senso di “istante decisivo” caro al fotogiornalismo classico. È come se per la fotografia facesse quello che Cervantes ha fatto per il romanzo con il suo “Don Chisciotte”, cioè aggiungesse proprio la letteratura consapevole di se stessa. E in questo intreccio di piani si gioca la partita vera, quella che ci fa dire che non è la fotografia di Wall che somiglia al mondo, ma è il mondo che prova a somigliare al lavoro del fotografo canadese.
(Leonardo Merlini)
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