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Roma, 8 giu. (askanews) – Collaborazione o competizione, alleanze o scontri? È soprattutto nel rapporto col Partito democratico che si è determinato il riposizionamento del Movimento 5 stelle nella stagione della gestione di Giuseppe Conte. Prima la rottura ai tempi dell’agenda Draghi, poi la stagione di qualche battaglia comune in Parlamento e dei patti a macchia di leopardo nelle elezioni regionali e amministrative. È questa ricerca di un difficile equilibrio politico che gli elettori dovranno giudicare nelle urne aperte sabato 8 e domenica 9 giugno per il rinnovo del Parlamento europeo.
Nel tour teatrale-elettorale che affianca i più tradizionali comizi di piazza, il leader M5S mette in scena in modo anche grafico una delle due facce della medaglia del rapporto col Pd. Pur essendo largamente dedicato a “smascherare” le mancanze di Giorgia Meloni e della sua maggioranza di governo (fino all’accusa di “codardia” per le astensioni in sede Onu sui massacri a Gaza), lo spettacolo che vede Conte protagonista unico sul palco dedica un paio di stoccate mirate al Partito democratico. Sono due slide che accompagnano il racconto del leader M5S sulle posizioni assunte nell’europarlamento dai principali partiti italiani. Una sull’uso dei fondi Ue per il riarmo e le forniture militari all’Ucraina, l’altra sul nuovo patto di stabilità. In entrambi i casi il messaggio è riassunto da due riquadri: nel primo tutti insieme Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Pd, nel secondo il solo Movimento 5 stelle; nella prima votazione tutti favorevoli, M5S contrario: “Il partito delle armi – sibila Conte – non conosce differenze fra destra e sinistra, arruola tutte le forze politiche; quasi tutte, noi siamo qui”. Ma anche nella seconda votazione lo schema è lo stesso: tutti astenuti, M5S contrario.
Alle europee si vota col sistema proporzionale, è abbastanza naturale la ricerca di una maggiore distanza dal Pd, ma è pur vero che la misura di questa distanza spesso non è chiara neppure ai suoi fedelissimi: quando l’ex premier ha sostenuto la decisione del candidato sindaco di Bari Michele Laforgia di far saltare le primarie di centrosinistra che lo vedevano contrapposto al candidato del Pd Vito Leccese, racconta una fonte interna che conosce bene le mosse di Conte, lo ha saputo prima la segretaria dem Elly Schlein, alla quale il leader stellato telefonò, che i vicepresidenti del M5S.
Conte stavolta ha un compito più arduo rispetto a quello che lo attendeva nel 2022, dopo scissione capeggiata da Luigi Di Maio e la rottura col governo Draghi, quando molti sondaggi davano i 5 stelle a rischio sul confine psicologico del 10 per cento e invece le urne a settembre segnarono un robusto recupero oltre il 15. Uno dei sondaggi più interessanti fra quelli pubblicati nelle ultime settimane di campagna elettorale, quello di Bidimedia diviso per circoscrizioni, aveva rivelato la distanza abissale fra le percentuali di consenso che gli elettori riservano ai 5 stelle: al Nord sotto il 10, primo partito al Sud col 27,7 e nelle isole col 23,4 per cento. La media farebbe un tranquillizzante 15,2 se non fosse per un dettaglio: dove il Movimento va forte, l’affluenza attesa alle europee è molto più bassa che al Nord; e alle europee non ci sono i collegi uninominali, dove quelle percentuali renderebbero il M5S l’asse portante del “campo largo”. Ecco perché stavolta il rischio di fermarsi attorno al 10 per cento è reale, lo stesso Conte deve ammettere che sarebbe “un risultato basso”: prospettiva che suscita un qualche nervosismo, raccontano, ai vertici del Movimento.
Sepolti in un passato irripetibile i quasi 11 milioni di voti e l’oltre 32 per cento raccolti nelle politiche del 2018, appare arduo oggi anche riportare alle urne delle europee i 4 milioni e 300mila voti delle ultime politiche. Conte ha portato avanti una politica di apertura delle liste a personalità esterne: la campionessa di calcio e nota opinionista sportiva Carolina Morace, Giuseppe Antoci ex presidente del Parco dei Nebrodi, Ugo Biggeri tra i fondatori di Banca Etica. Altra figura di punta, ma ormai del tutto interna al Movimento, è Pasquale Tridico, economista, ex presidente dell’Inps, tra i più convinti sostenitori del reddito di cittadinanza, misura simbolo della stagione di governo del M5S. Dove andranno gli eletti? Conte non si è mai sbottonato sul futuro gruppo nell’europarlamento, promettendo “sorprese” future tutte da verificare. Attualmente i 5 stelle sono senza gruppo e quindi, in base alle norme Ue, fortemente ridimensionati nella loro attività istituzionale. In passato hanno tentato l’avventura con gli euroscettici, poi un approccio fallito al gruppo dei Verdi europei, che sulla guerra e il riarmo hanno posizioni diametralmente opposte alle loro.
Il leader si è assunto il rischio di non candidarsi in prima persona, “per non prendere in giro gli elettori”, contrariamente alla gran parte dei leader degli altri partiti. Ma alla fine, non sarà su questo che potrà aprirsi la discussione interna fra i 5 stelle, finora piuttosto sottotono: se gli elettori non gli consentiranno di restare lontano da quel minaccioso 10 per cento ipotizzato da qualche intervistatore, un chiarimento si renderà necessario. Nel Movimento c’è chi sostiene che il vecchio brand “antisistema” non funziona più e non può essere resuscitato solo sotto elezioni con le polemiche anti-Pd. D’altronde, anche il rischio di fare della creatura che fu di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio una sorta di junior partner del Nazareno potrebbe essere solo un modo per avviarsi definitivamente alla chiusura dell’unico tentativo serio degli ultimi decenni di sfidare il bipolarismo all’italiana.
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