2 minuti per la lettura
Roma, 21 nov. (askanews) – Fisco, costo del denaro, caro-energia, burocrazia, carenza di manodopera: sono tra i maggiori oneri che frenano la corsa dei 4,5 milioni di micro e piccole imprese italiane impegnate a reagire sul fronte dell’occupazione, della sostenibilità e delle esportazioni. Tra novembre 2023 e gennaio 2024 copriranno il 59,6% del totale delle assunzioni previste dalle imprese, il 66% è impegnata a ridurre l’impatto sull’ambiente della loro attività, le loro esportazioni valgono 60,3 miliardi. E’ quanto emerge dal rapporto che Confartigianato ha presentato oggi alla propria assemblea e che fotografa un habitat poco favorevole per gli imprenditori che si sforzano di agganciare la ripresa. A cominciare dalla pressione fiscale che nel 2023 fa registrare 28,8 miliardi di maggiore tassazione su cittadini e imprese italiani rispetto all’Eurozona, pari a 488 euro pro capite in più.
Al peso del fisco si aggiunge la batosta del caro-bollette: nell’ultimo anno il costo dell’energia elettrica per una Pmi italiana è superiore del 35,6% rispetto alla media europea, mentre il costo del gas supera del 31,7% la media Ue.
Sulla competitività delle nostre imprese pesa anche il costo del denaro: a causa della stretta monetaria e del caro-tassi, le piccole imprese, tra luglio 2022 e luglio 2023, hanno pagato 7,4 miliardi di maggiori oneri finanziari.
A drenare risorse anche l’impatto della burocrazia sugli investimenti delle imprese che pesa lo 0,82% del Pil, pari, quest’anno, a 16,8 miliardi di mancata crescita. Secondo l’indicatore di maggiore pressione burocratica sulle imprese elaborato da Confartigianato, l’Italia si colloca al terzo posto tra i 27 paesi Ue, dietro a Romania e Grecia e davanti a Francia (quarto posto), mentre sono in posizioni migliori la Spagna (sesto posto) e la Germania (18esimo posto).
Gli sforzi dei piccoli imprenditori per agganciare la ripresa sono ostacolati anche dal gap scuola-lavoro all’origine della carenza di manodopera qualificata, con difficoltà a reperire, nel 2022, 1,4 milioni di lavoratori. Le aziende sono ‘alla ricerca del talento perduto’ e il costo della difficoltà a trovare personale per le piccole imprese è di 10,2 miliardi di euro di valore aggiunto persi per i posti di lavoro che rimangono scoperti per oltre sei mesi. Tutto questo a fronte del grande spreco’ rappresentato da 1,5 milioni di giovani 25-34 anni che non si offrono sul mercato del lavoro. Un numero che assegna all’Italia il primato negativo nell’Unione europea per giovani inattivi.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA