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Roma, 11 gen. (askanews) – La Cina non è più il principale esportatore degli Stati uniti. O, almeno, non lo sarebbe stata nel 2023 per la prima volta dal 2006, superata dal Messico. Lo si evince dai dati diffusi dal Dipartimento al Commercio Usa, analizzati dal Nikkei Asia.

Secondo i dati del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, le importazioni di beni americani dalla Cina sono diminuite di oltre il 20% su base annua nel periodo gennaio-novembre. La Cina rappresentava il 13,9% del totale delle importazioni statunitensi, la quota più piccola dal 2004, dopo aver raggiunto un picco di oltre il 21% intorno al 2017. Le esportazioni statunitensi verso la Cina sono rimaste sostanzialmente invariate nel corso dell’anno.

Il Messico è destinato a prendere la testa per l’intero anno per la prima volta dal 2000. Le importazioni statunitensi dal paese centro-americano sono sulla buona strada per stabilire un livello record nel 2023, e la sua quota sul totale ha superato il 15% per i primi 11 mesi del 2023.

Anche le importazioni dall’Unione europea hanno raggiunto il massimo storico per quel periodo. Anche se le spedizioni dall’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico sono diminuite nel corso dell’anno, il conteggio è stato ancora il secondo più alto mai registrato, e la quota del blocco sul totale è raddoppiata rispetto a dieci anni fa.

La fetta del Giappone nella torta delle importazioni statunitensi rimane al di sotto del 5%, anche se l’apprezzamento del dollaro ha aumentato il valore delle sue esportazioni in termini di yen lo scorso anno. La quota del Giappone è diminuita di oltre la metà dal 2000 a causa di un lungo calo dovuto all’incremento della produzione negli Usa da parte dei produttori giapponesi.

Le importazioni di smartphone dalla Cina, ad esempio, sono diminuite del 10% circa, mentre le importazioni dall’India sono quintuplicate. I computer portatili hanno registrato un calo di circa il 30% in Cina, ma sono quadruplicati rispetto al Vietnam.

Questa tendenza è stata rafforzata dalla spinta dell’amministrazione del presidente Joe Biden verso il “friendshoring”, cioè la tendenza a mantenere le catene di approvvigionamento all’interno della cerchia dei paesi alleati e partner. La Casa bianca di Biden ha inoltre mantenuto le tariffe sui prodotti cinesi per un valore di 370 miliardi di dollari imposte dal predecessore Donald Trump.

L’amministrazione Biden sta valutando ulteriori aumenti delle tariffe sui veicoli elettrici, sulle apparecchiature per l’energia solare e sui semiconduttori meno avanzati, con una decisione prevista nella prima metà di quest’anno.

Tuttavia la Federal Reserve ha espresso preoccupazione per l’impatto del calo del commercio Usa-Cina sull’inflazione. Alcuni analisti ritengono che il passaggio alla produzione interna di beni precedentemente acquistati a buon mercato dalla Cina spingerà al rialzo i prezzi inasprendo il mercato del lavoro.

Alcune aziende cinesi, inoltre, stanno rispondendo alle restrizioni americane anche optando d’investire di più in Messico.

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