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Roma, 30 ago. (askanews) – Più rinvii che decisioni, più compattezza di facciata che nei fatti. D’altra parte, tre ore di vertice non potevano bastare a sciogliere l’infinita quantità di nodi in cui si è impigliata la maggioranza in questa turbolenta estate. Ma tant’è, in attesa di soluzioni, l’urgenza di Giorgia Meloni era quella di inviare all’esterno, all’opinione pubblica, un messaggio di compattezza e determinazione del governo. Ma, ancora di più, spiegare ai suoi litigiosi vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, incontrati a palazzo Chigi insieme a Maurizio Lupi, che “la ricreazione è finita”.

Nella sostanza, però, i temi che restano sul tappeto sono molti, primo tra tutti la collocazione rispetto al conflitto tra Mosca e Kiev. Il passaggio del comunicato congiunto diramato è frutto di un compromesso, una formula generica che può accontentare tutti perché si limita a parlare di “totale sintonia” sulla politica estera, compresa “la posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina”. Una svista dell’ufficio stampa leghista, che diffonde (e poi cancella) una versione diversa in cui si parla esplicitamente di contrarietà “a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini”, finisce però per rimettere sotto i riflettori dei distinguo che, per la verità, il partito di Salvini rivendica da mesi.

L’ultimo nodo del contendere è l’offensiva dell’esercito di Zelensky a Kursk, in territorio russo. L’unione europea ha dato sostegno alla mossa di Kiev e, sebbene qualche perplessità abbia cominciato ad attraversare anche Fratelli d’Italia, ben si capisce perché la premier abbia chiesto di sbianchettare quel passaggio che, invece, era presente nella proposta di comunicato avanzata dalla Lega.

Per il resto, il comunicato finale è soprattutto una ostentazione di “unità”, di “solidità” e “compattezza” della coalizione. Il politichese un po’ grigio nasconde alla voce “diverse sensibilità” gli scontri agostani senza esclusione di colpi tra Lega e Forza Italia. La premier ha chiesto ai suoi vice di smetterla di alimentare una continua polemica che finisce per indebolire la maggioranza e li ha caldamente invitati anche a “evitare di fare promesse” sui contenuti della manovra. Non a caso nel testo non c’è alcun accenno alle pensioni.

Ma la sostanza è che per ora la soluzione a tutti problemi è il rinvio. Lo ius scholae? Nel comunicato si ricorda che ci si baserà sul “programma votato dai cittadini” e, comunque, se Forza Italia vuole portare avanti una discussione parlamentare su questo, deve avere ben chiaro che fino al 2025 la questione non si pone nemmeno.

L’autonomia? La via di mezzo tra l’avversione di Occhiuto e la fuga in avanti di Zaia – che chiede di aprire subito le trattative sulle materie non Lep – prevede che si “segua la legge”. Che, tra le richieste e le valutazioni che devono essere fatte anche da alcuni ministeri compreso quello guidato da Antonio Tajani, non sarà realtà prima di mesi.

E di fatto si è deciso un rinvio anche su altri due temi centrali del vertice: la Rai e il candidato del centrodestra alla Regione Liguria. Fonti azzurre assicurano che “è in corso una interlocuzione con alcune forze di opposizione” per evitare che la candidatura di Simona Agnes (in quota azzurra) come presidente di viale Mazzini venga bocciata dalla Vigilanza (servono i 2/3 dei voti). Ma i problemi sono ancor prima interni alla maggioranza. La Lega avrebbe infatti smesso di rivendicare per sé il direttore generale (figura facoltativa) ma avrebbe alzato il prezzo della compensazione. Il risultato è che le prossime capigruppo di Camera e Senato decreteranno un ulteriore slittamento della data per l’elezione dei componenti di nomina parlamentare inizialmente fissate per la seconda settimana di settembre.

Nessuna decisione nemmeno sulla Liguria. La Lega, viene spiegato, preferirebbe un candidato civico che possa essere attribuito a tutta la coalizione e non al suo partito, in modo da poter vantare un ‘credito’ quando ci sarà da decidere il candidato per il dopo Zaia in Veneto. La soluzione ipotizzata è che si facciano dei sondaggi sui nomi dei papabili, tra cui il vice sindaco di Genova, Pietro Piciocchi, e la parlamentare Ilaria Cavo, per testarne il gradimento.

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