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Roma, 28 feb. (askanews) – I fattori principali che hanno causato l’elevata inflazione nell’area euro negli ultimi anni sono stati gli shock che hanno colpito l’offerta e le forniture, mentre gli shock sul lato della domanda interna e sulle condizioni tirate del mercato del lavoro hanno avuto “un ruolo più limitato”. E’ la conclusione a cui giunge uno studio (What caused the euro area post-pandemic inflation?) pubblicato dalla Bce, che torna su un argomento che nei mesi scorsi è stato al centro del dibattito, nella fase in cui l’istituzione portava avanti la sua aggressiva manovra manovra restrittiva e di rialzo dei tassi, allo scopo di contrastare proprio l’alta inflazione.

Inoltre, l’analisi ipotizza che il caro vita medio dell’area euro possa tornare val valore obiettivo della stessa Bce, il 2%, ben prima di quanto prevedano le stime dell’istituzione: già dalla metà di quest’anno.

Secondo lo studio, “le penurie correlate alla fase pandemica possono avere avuto un impatto più persistente sull’inflazione dell’area euro rispetto a quanto inizialmente previsto. Inoltre il ruolo degli shock sul lato dell’offerta nell’area euro è più ampio che negli Usa, prevalentemente a causa della sua maggiore esposizione agli effetti idiosincratici dell’invasione russa dell’Ucraina” (cioè per la maggiore sensibilità dell’economia Ue a questi sviluppi).

Nei mesi scorsi coloro che contestavano l’appropriatezza di procedere in maniera maniera così rapida e energica sui rialzi dei tassi – in particolare l’allora governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, e colui che gli è succeduto, Fabio Panetta, che faceva parte del Comitato esecutivo della Bce – lo facevano anche sulla base del fatto che se l’inflazione era provocata da uno shock sul lato dell’offerta, una stretta monetaria sarebbe stata scarsamente in grado di avere effetti tangibili su questo fattore, ma avrebbe arrecato danni, quelli sì, all’economia.

L’analisi pubblicata oggi è firmata da quattro economisti della stessa Bce – Óscar Arce, Matteo Ciccarelli, Carlos Montes-Galdón e Antoine Kornprobst – e utilizza i modelli previsionali elaborati dall’ex esidente della Federal Reserve, Ben Bernanke e dall’ex capo economista del Fmi, Olivier Blanchard per effettuare analisi comparative sull’inflazione tra le economie avanzate.

Secondo lo studio la crescita delle retribuzioni potrebbe restare elevata nei prossimi anni, con i redditi reali che cercano di recuperare i prezzi dopo i recenti episodi di alta inflazione. Ma al tempo stesso di “l’inflazione potrebbe calare più di quanto anticipato da previsioni dei tecnici della Bce nel giugno del 2023 e raggiungere il l’obiettivo già a metà 2024”, si legge.

Tuttavia i rischi sul lato inflazionistico restano sbilanciati al rialzo, date le aspettative dei mercati sul futuro dei prezzi dell’energia. E potrebbero anche materializzarsi effetti di secondo livello da alta inflazione più energici previsto, se dovessero ripresentarsi condizioni simili a quelle degli shock associati al contesto del Covid.

Mercoledì e giovedì della prossima settimana tornerà a riunirsi il consiglio direttivo della Bce, che è l’organismo che assume le decisioni di politica monetaria e a cui partecipano tutti i governatori di Banche centrali nazionali dell’area euro, oltre alla presidente, Christine Lagarde, il vicepresidente gli altri quattro componenti del comitato esecutivo (per l’Italia Piero Cipollone). Le decisioni della Bce verranno annunciato giovedì 7 marzo alle 14 e 15.

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