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Roma, 16 nov. (askanews) – Il negazionismo della dittatura proposto da Milei non penetra nelle caserme argentine scrive oggi El Pais in un’analisi sulla situazione argentina a tre giorni dal voto di ballottaggio.

Javier Milei, il candidato presidenziale dell’estrema destra argentina, ha ribaltato il consenso che ha tenuto a galla la democrazia argentina per 40 anni. Intende porre fine all’istruzione pubblica e alla sanità, tagliare i fondi alle università e si oppone alle leggi sull’aborto e al matrimonio paritario. Parte di questa “guerra culturale”, come la chiama lui, comporta una reinterpretazione condiscendente dell’ultima dittatura (1976-1983) e del terrorismo di stato. In prima linea in questo negazionismo c’è la sua candidata alla vicepresidenza, Victoria Villarruel, nipote di soldati che chiede una “memoria completa” che includa le vittime della guerriglia degli anni Settanta e metta fine ai casi aperti per i crimini che feriscono l’umanità. Il suo discorso, però, non passa nelle caserme. Le nuove generazioni di militari, alcuni già nati nella democrazia e tutti educati in essa, ritengono che mettere all’ordine del giorno la questione della repressione illegale metta a repentaglio anni di sforzi per ripulire la loro immagine.

Le forze armate argentine hanno controllato la politica argentina per più di 50 anni. Nel 1930, con il primo colpo di stato, iniziarono una lunga serie di golpeche tentò di reprimere prima il primo partito di massa dell’America Latina, l’Unione Civica Radicale (UCR), e poi, a partire dal 1955, il peronismo. Quando cedettero il potere nel 1983, avevano rimosso con la forza dalla Casa Rosada cinque governi democratici, senza contare i cambi di comando nel palazzo. Il presidente della transizione, il radicale Raúl Alfonsín, processò i dirigenti della dittatura nel 1985. Nel 1991, un peronista, Carlos Menem, gli concesse la grazia. Con il Menemismo, però, si avvia anche un processo di definanziamento delle Forze Armate e di ritiro delle truppe in caserma. Oggi l’esercito argentino non ne vuole sapere nulla di politica. E il consenso democratico intorno al “Mai più” ha neutralizzato ogni tentativo di riscrivere la storia o di glorificazione politica del terrorismo di stato.

Interrogato sulla dittatura nel primo dibattito tra i candidati, Javier Milei ha ripetuto le parole dell’ammiraglio Emilio Massera durante il processo alle Junta. Ha detto che negli anni settanta ci fu “una guerra” in cui furono commessi “eccessi”, ma mai un piano di sterminio illegale e sistematico. È stato il primo candidato della Casa Rosada che ha osato tanto e il primo che non ha perso voti per questo. Villarruel va oltre. L’obiettivo è porre fine ai processi per crimini contro l’umanità, convertire il Museo della Memoria che opera nel più grande centro di detenzione e tortura della dittatura, l’Esma, in una scuola “per il divertimento di tutti” ed eliminare il programma pensionistico che ricevono le vittime. . Durante questa settimana, ha difeso pubblicamente un soldato che sui social media scriveva che nel bagagliaio di una Ford Falcon verde, come quelle usate per rapire i militanti, potevano entrare sette persone, “anche se un po’ scomode”. Dice anche che i desaparecidos non furono 30.000, come sostengono le organizzazioni per i diritti umani, ma “solo” 8.961 registrati dalla commissione per la verità, Conadep, che Alfonsín ha insediato all’inizio del suo governo.

Il discorso di Villarroel ha risonanza e piace al personale militare in pensione, con molti vecchi militari già loro condannati o con procedimenti ancora aperti per crimini contro l’umanità. Ma non fa breccia nei militari attuali già formati alla democrazia. “Siamo un’altra generazione e siamo sconvolti”, chiarisce in massima riservatezza una fonte della Marina perché le norme impediscono loro di esprimere qualsiasi opinione politica. “Quelli che erano lì in quel momento [la dittatura] hanno già pagato, sono stati condannati. Perché tornare indietro con un discorso che continua a lavorare contro di te dopo 40 anni?”

Si pone la stessa domanda la politologa argentina Victoria Murillo, direttrice dell’Istituto di Studi Latinoamericani della Columbia University. “Partiti come il Fronte Nazionale in Francia [di Marine Le Pen] inizialmente hanno cercato di influenzare l’agenda delle politiche pubbliche. Una volta che l’agenda politica pubblica cambia, è più facile per loro accumulare voti. Quando una questione diventa normale, il partito estremo diventa meno estremo”, spiega.

Villarruel, infatti, ha superato diversi limiti, come quello di proporre che le Forze Armate argentine si uniscano ai compiti di sicurezza interna, alla pari della polizia o della gendarmeria. Oggi è vietato da una legge Alfonsín che garantiva la sottomissione dei militari al potere civile. “Le Forze armate, dopo la dittatura, non vogliono lasciarsi coinvolgere in quel gioco, che ci ha fatto perdere credibilità, fondi, proprietà”, dice la stessa fonte della Marina. Il governo ritiene inoltre che l’attuale esercito non voglia avere nulla a che fare con la lotta contro il traffico di droga e la criminalità comune. “C’è tanto rinnovamento, con generazioni di giovani professionisti. Nessuno vuole essere coinvolto nelle questioni di sicurezza nazionale, perché lo considerano un problema e sanno di non essere preparati”, dice una fonte ufficiale che conosce il settore. Per Villarruel la riluttanza ha senso, perché nei casi in cui l’esercito è intervenuto nella sicurezza interna “la corruzione è cresciuta”.

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