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Roma, 16 giu. (askanews) – L’ossessione per il sesso, i rapporti sovente tossici ed esaltati con le donne, la spavalderia, il cinismo, l’angoscia, la follia, la dipendenza dalla cocaina e la conseguente malattia, sono tema del ciclo fotografico con cui Luisa Menazzi Moretti partecipa a Il Vittoriale delle italiane, originale progetto dedicato a Gabriele D’Annunzio che verrà presentato al Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera all’interno della VII edizione del Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana.
La mostra – che si può ammirare fino al 30 settembre – a cura di Renato Corsini, direttore artistico del Brescia Photo Festival, espone gli scatti di 10 artiste, invitate a reinterpretare con il proprio stile il mito del Vate, con un lavoro site-specific in quella che fu l’ultima dimora del grande poeta.
Insieme a Luisa Menazzi Moretti in mostra ci saranno Maria Vittoria Backhaus, Mariagrazia Beruffi, Patrizia Bonanzinga, Giusy Calia, Silvia Camporesi, Alessandra Chemollo, Caterina Matricardi, Antonella Monzoni e Ramona Zordini, 10 tra le fotografe italiane più talentuose e affermate.
Luisa Menazzi Moretti intitola il suo progetto “Ricordo, Rivedo” e sceglie due artifici: da un parte decide di scattare le immagini nel parco, per sentirsi meno vincolata dai ricordi d’infanzia, perlopiù legati agli interni degli edifici (il Vittoriale confina con il giardino botanico che fu del bisnonno Arturo Hruska, nella cui casa, da ragazzina, la fotografa soggiornò a lungo e spesso); dall’altra, decide di dare alle sue opere un’impronta astratta, quasi pittorica, “colorando” gli sfondi con campiture piatte di giallo e rosso – le tinte delle pareti esterne degli edifici del Vittoriale – in questo modo enfatizzandone i dettagli.
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L’autrice specifica che ogni fotografia è accompagnata e ha relazione con brani tratti dall’ultima opera del Vate, Il libro segreto, pubblicato nel 1935, ultima grande prova di D’Annunzio, ormai recluso nel suo eremo.
“Con la scelta di questa opera, – sottolinea l’artista- ho voluto incentrare il mio interesse sugli ultimissimi anni del grande poeta, più che su tutto il periodo passato al Vittoriale: anni difficili in cui si alternano lucidità, depressione, narcisismo, consapevolezza del proprio stato, esaltazione, desiderio di vita e di morte”.
Fanno eccezione i brani che accompagnano Eremo, prima immagine della serie, Motti, dove la fotografa raccoglie i motti in latino e greco che si trovano nel parco, li traduce in italiano per farne una sorta di “filastrocca” e, infine, Memoria, ultima opera che chiude la serie, dove Menazzi Moretti decide di ribaltare i ruoli per dar voce, quale ultima testimonianza, ad alcune donne e muse che furono importanti nella vita di D’Annunzio. Le loro parole dichiarano quanto, infine, esse furono consapevoli del peso di quella relazione e, dunque, capaci di intraprendere un’ascesa liberatoria.
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