Sara Sparviero mentre si appresta a dirigere una partita di calcio a 5 regionale
3 minuti per la lettura«È STATA una scelta quasi istintiva». Sara Sparviero, bitontina, arbitro di calcio in forza all’organico dell’Aia Puglia, dirige gli incontri del massimo campionato maschile di futsal, la C1.
Quindi ha deciso di iscriversi al corso arbitri senza pensarci troppo…
«L’amore per questo sport ha fatto la differenza. Nel 2013, contrariamente a quanto succede adesso – con una formazione della mia città ai massimi livelli del calcio a 5 femminile – le possibilità di avvicinarsi in qualità di praticante erano ridotte al lumicino e così, quasi per ironia della sorte, ho compiuto un passo differente, spinta da un pizzico di curiosità e dai consigli di alcuni amici che arbitravano già».
Qual è stato il suo impatto?
«Ricordo perfettamente i primi anni di arbitraggio. Credo che gli inizi, in genere, siano inevitabilmente più difficili per chiunque decida di intraprendere questa carriera. Passare dal regolamento alla pratica non è sempre facile e ci si ritrova a dover prendere la decisione giusta in situazioni di gioco sempre nuove. Con il trascorrere delle partite arbitrate si acquisisce maggiore esperienza e ci si sente molto più sicuri».
L’approccio alla realtà dell’arbitraggio è differente rispetto ai colleghi uomini?
«Se il periodo di avviamento è già complicato per un ragazzo, ritengo che per una ragazza arbitro alle prime esperienze tutto possa risultare ancor più delicato anche se, sotto il profilo tecnico, le situazioni di gioco sono naturalmente identiche».
Quanti e quali pregiudizi ha dovuto affrontare?
«Non è un segreto che il mondo del calcio sia visto come una realtà prevalentemente “maschile”, per cui è facile immaginare lo stupore negli occhi dei dirigenti incontrati nelle prime partite quando, all’arrivo sul campo, mi sono presentata: “Buongiorno, sono l’arbitro della gara”.
Una domanda quasi di default è quella relativa al modo più appropriato per chiamarmi durante l’incontro: “Signora”, “signorina” o “signore” come se fosse vitale per l’andamento della partita. Ho trovato ulteriore forza e motivazioni nella voglia di farmi riconoscere solo come “arbitro”. Quello che ho capito ben presto è che il maggior numero di decisioni giuste assunte durante i 90 minuti lascia scivolare gli stereotipi ed i pregiudizi dalle menti di calciatori e dirigenti. E così, con il passare del tempo, guardando filmati e studiando situazioni specifiche, mi sono resa conto che quello che gli altri vedevano sul campo era “semplicemente” la maglia dell’arbitro, senza badare al fatto che fosse indossata da un uomo o da una donna».
Un processo lungo, non privo di difficoltà e momenti critici…
«Non sono mancati gli errori e le segnalazioni sbagliate. Ho dovuto ascoltare dagli spalti frasi del tipo “Lasciate stare, tanto è una ragazza… Non capisce niente”, che possono scoraggiare e indurre ad abbandonare ma non è stato il mio caso».
Quali sono i suoi obiettivi futuri?
«Sono trascorsi 9 anni dal via a questa appassionante avventura. Arbitro i match della C1 maschile e non nascondo l’auspicio di poter entrare a far parte dell’organico nazionale, salendo di categoria».
Per quale motivo una ragazza dovrebbe iscriversi ad un corso per arbitro?
«L’arbitraggio è una splendida passione, un’esperienza che ti forma come persona, permette di confrontarsi con sé stessi e di crescere in modo tale da influire, con effetti benefici, sulla vita professionale e quotidiana. Spero con tutto il cuore che tante altre ragazze pugliesi possano essere invogliate ad avvicinarsi al nostro mondo».
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