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La sistemazione di un impianto fotovoltaico

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In questi mesi stiamo assistendo alla rapida evoluzione del sistema energetico mondiale, soprattutto con riferimento alla situazione europea e nazionale. L’urgenza è certamente dettata dalla presa di coscienza di dover azzerare rapidamente le emissioni dei gas climalteranti, soprattutto con riferimento al “carbon budget”, emissioni di CO2, che abbiamo pressoché e precocemente raggiunto per determinare l’innalzamento limite della temperatura del pianeta di 1,5 °C.

È necessario un cambiamento radicale, epocale, definitivo che riguardi tutti i settori della società, tanto quelli del mondo produttivo, quanto del mondo degli utilizzatori. Tale cambiamento deve misurarsi con un atteggiamento responsabile nei confronti delle risorse energetiche del pianeta, rimodulandone innanzitutto il bisogno e promuovendo, nel contempo, quei processi ad elevata efficienza. In questi giorni, diversi fattori sociopolitici, dei quali si omette una dettagliata analisi, ci hanno costretto a confrontarci con l’incremento drastico dei costi dell’energia, riportando alla ribalta proprio i temi della più razionale utilizzazione della stessa.

Nuovi scenari di impiego sono messi in atto dal mondo produttivo e anche dalle famiglie per beneficiare di piccole e grandi economie e questo, pur dovendosi confrontare con il dramma contestuale, può positivamente contribuire ad assumere nuove e più corrette abitudini, più consone ad una equità globale di accesso alle risorse. Si pensi che ancora oggi, il modello nazionale produce un consumo annuale di energia (2,6 Tep), misurato per ciascun individuo, che è superiore a quello della media mondiale del 40%, superiore del 30% a quello dei paesi asiatici, Cina compresa, superiore del 300% a quello dei paesi africani.

Questo squilibrio dovrebbe indurci a comprendere che la maggior parte degli abitanti del pianeta (circa 5 miliardi di persone su 8 complessivi) hanno oggi un accesso molto diverso e limitato alle risorse energetiche, con ovvie ricadute sulle rilevanti questioni degli equilibri internazionali. Quali possono essere le soluzioni per determinare la efficace fuoriuscita da questa condizione emergenziale? Le attuali idee che aleggiano e viaggiano nei palazzi di governo inducono a valutare l’importanza di un’autonomia energetica del nostro paese e quindi l’incremento di soluzioni atte a produrre più energia.

Tuttavia, tali politiche non sono nuove ideologicamente (si pensi alla lungimirante strategia di Enrico Mattei degli anni ‘60) e non sono nuove tecnologicamente, giacché propongono prioritariamente il ricorso all’incremento di estrazione nazionale di gas metano, nonché la riscoperta del nucleare, sia pure di nuova generazione. Certo potrebbe trattarsi di un nuovo mero esercizio semantico, volto a considerare le stesse, fonti sostenibili e questo metterebbe nuovamente in pace le nostre coscienze per almeno un altro cinquantennio!

Basta convincersi che null’altro possa attuarsi per indurci ad un nuovo stato di rassegnazione e accettazione di tali idee. Poco importa se il nucleare determina l’innalzamento del rischio e la certezza di residui scomodi da affidare alla gestione dei nostri figli per i prossimi 100 mila anni. Poco importa se ricorriamo ad una risorsa certamente non rinnovabile come il metano che produce un duplice effetto serra: per la sua combustione che contribuisce all’innalzamento dei livelli di CO2 ed un effetto serra 10 volte superiore per effetto della sua dispersione libera in atmosfera per colpa delle piccole perdite dai sistemi di produzione e trasporto.

Sembrerebbe quindi che non abbia senso sottoscrivere un patto di sostenibilità a favore delle generazioni future, un patto cosiddetto transgenerazionale. Ma probabilmente non è propriamente così che debbano essere immaginate le nuove politiche energetiche nazionali, e neppure accontentarsi di aver battezzato un nuovo ministero dal titolo accattivante “per la transizione ecologica”. Probabilmente un esempio virtuoso può trarsi proprio dalle politiche regionali pugliesi degli ultimi venti anni.

Pur inizialmente turbate da alcune azioni speculative, queste hanno determinato un sistema energetico regionale che produce un apprezzabile export di energia, grazie alla leadership nei sistemi di produzione di energia rinnovabile. Un impegno forte e coraggioso che dovrà, nell’immediato, garantire un ulteriore incremento di installazioni rinnovabili, 5 volte superiori a quelle attuali per poter traguardare gli obbiettivi al 2030 e 2050, che debba però coniugarsi con una corretta programmazione di utilizzo ed impiego del territorio, la cui vocazione (turistico, paesaggistica, ambientale) non deve essere stravolta.

Tali coniugazioni, tali effetti simbiotici, possono attuarsi progettando sistemi di incentivazione che prediligano meccanismi di restituzione “locale” del valore prodotto dagli impianti del sistema energetico; meccanismi che non possono più limitarsi ai meri risvolti sull’intensità occupazionale, per altro insignificante in questi impianti, ma tali da favorire il fiorire di forme di economie aggiuntive. Il fotovoltaico deve integrarsi, oltre che con gli edifici, con il sistema agricolo nella definizione ancora nebulosa di “agrivoltaico”, purché si vincolino gli stessi alla realizzazione di meccanismi realmente simbiotici tra i due sistemi, che consentano l’attuazione di coltivazioni green e biologiche.

Meccanismi che diventino attrattori turistici, ad esempio, per la disponibilità di prodotti agroalimentari di riconosciuto valore locale, anche proposti con il sistema degli spacci aziendali. La necessità di vincolare la realizzazione di nuovi impianti alla realizzazione si stazioni di ricarica dei veicoli elettrici, ad elevata potenza i cosiddetti super-charger (superiori a 100 kW), che intercettino il turismo ecologico, con veicoli “green”.

Impianti a biomassa moderni ed efficienti, per loro natura ad effetto carbonioso nullo o negativo, che allo stesso tempo offrano soluzioni alla valorizzazione dei sottoprodotti delle industrie agroalimentari come, ad esempio, la sansa a due fasi dei frantoi. L’installazione di impianti eolici off-shore rappresenta un’altra delle alternative irrinunciabili. Questa coniuga la vocazione rinnovabile della propria produzione con la pressocché invisibilità dei suoi impianti, con applicazioni galleggianti che possono integrarsi totalmente con le moderne tecniche di navigazione, ormai basate su rotte controllate con sofisticati sistemi di localizzazione GPS.

Anche in questo, la Puglia, si dimostra all’avanguardia giacché accoglie il primo impianto italiano proprio nel contesto portuale di Taranto (decimo per importanza di volumi scambiati), realizzato con 10 turbine da 3 MW di potenza, installate in mare su fondazioni con pali singoli. Altrettanto virtuosi sono le politiche che l’Acquedotto Pugliese sta portando avanti per consentire a grossi e piccoli investitori la valorizzazione dei flussi delle acque dei depuratori a beneficio della produzione di idrogeno verde, in tutti quei contesti in cui l’acqua non venga già destinata all’agricoltura. Un modello da esportare, quello Pugliese, che rappresenta un esempio di virtuosità di cui possiamo essere orgogliosi, possibile fonte di ispirazione per i grandi policy maker nazionali

RICCARDO AMIRANTE
professore ordinario di sistemi energetici

Politecnico di Bari

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