Braccianti impegnati nella raccolta del pomodoro (foto di repertorio)
3 minuti per la letturaIn Puglia sempre meno persone lavorano nei campi come braccianti agricoli. Un calo di 2 mila 044 lavoratori tra il 2021 e il 2020 e di ben 21 mila 293 se si considera il periodo a partire dal 2017. Questa è almeno la fotografia tratta dagli elenchi annuali dell’Inps ripresi dalla Flai Cgil regionale che ne ha rielaborato i numeri. «I dati – spiega Antonio Gagliardi, segretario regionale di categoria della Cgil – ci dicono che nel 2017 risultavano iscritti negli elenchi 185 mila 573 lavoratori, la riduzione nell’anno successivo è stata pari a 4 mila 607. L’anno dopo è arrivato il picco più alto con una perdita di 8 mila 246 unità, nel 2020 altre 6 mila 126 unità e nel 2021, dunque, di 2.044».
L’analisi Cgil si concentra anche sull’andamento dell’utilizzo della forza lavoro nei territori delle diverse province pugliesi, dove emergono i dati di Foggia e della Bat. La prima è quella che nel biennio 2018-2020 ha perso in assoluto più lavoratori, 8 mila 288. La seconda è invece quella che nello stesso periodo ha subito la maggior riduzione percentuale, il 3,1, vale a dire 577 operai su 18 mila 679. Bari ne ha persa poco meno, il 2,8, 1.030 unità su 36 mila 440 totali. E ancora il sindacato si sofferma sull’incidenza dei lavoratori di cittadinanza straniera. Sono 112 le nazionalità quelle registrate provenienti dai cinque continenti. Erano 32 mila 431 nel 2020 i lavoratori stranieri e sono saliti a 33 mila 264 l’anno seguente, con un incremento di 1.843 unità.
«Che la forza lavoro agricola nel 2021– spiega ancora Gagliardi – risulti in riduzione soprattutto nelle aree ad elevata produttività ortofrutticola è da interpretarsi, in parte, con la difficoltà di reperimento di manodopera straniera soprattutto quella comunitaria dei paesi dell’Est, in particolare romena, ed in parte con il vuoto di richieste di prodotti agricoli destinati all’esportazione, di cui la Puglia è leader, determinatasi con la fase pandemica ma anche perché le grandi raccolte primaverili ed estive hanno avuto un clamoroso stop dei prezzi alla produzione, spingendo numerose aziende addirittura a rinunciare alla raccolta stessa abbandonando il prodotto».
C’è poi un dato che va in controtendenza e che necessita di essere analizzato. È quello che riguarda il monte delle giornate di lavoro dichiarate e registrate dall’istituto. «Tra il 2018 e il 2020 – segnala la Flai – l’andamento su base regionale era stato decrescente tanto da totalizzare una riduzione di 478 mila 918 giornate. Nel solo 2021 rispetto al 2020 si è avuto un solido recupero che non solo ha annullato la perdita del triennio preso in esame ma ha certificato un aumento ulteriore con 622.330 giornate.
Tuttavia, 40 mila 626 lavoratori agricoli sul totale di 164 mila 280 (il 24,7 per cento) non raggiungono le 51 giornate lavorative, soglia minima per avere accesso alle provvidenze e prestazioni previdenziali e assistenziali; di questi 11 mila 030 (il 27 per cento) sono donne e 29 mila 596 (il 73 per cento) uomini». Un fenomeno che gagliardi spiega in questo modo: «È evidente che un’inversione di tendenza così poderosa del numero delle giornate dichiarate sia anche frutto dell’efficacia delle azione di contrasto che le forze dell’ordine alle quali va il nostro plauso e ringraziamento, per contrastare i fenomeni ignobili dello sfruttamento e del caporalato che, purtroppo, ancora impera nelle nostre campagne e che si intrecciano troppo spesso con fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata, peraltro, inequivocabilmente evidenziati qualche giorno fa con la pubblicazione della relazione semestrale della Dia».
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