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I sindacati discuteranno della questione giovedì in prefettura a Bari. Sono stati convocati e chiedono di spingere a un intervento il ministero dell’Agricoltura per la riattivazione del tavolo col ministero dell’Economia e quello delle Infrastrutture, per valutare la trasformazione dell’ente in società per azioni. Lo sblocco degli stipendi dello scorso 23 settembre sembra rimasto fine a se stesso. La crisi dell’Eipli torna a emergere in queste ore. L’Ente per lo Sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria, con sede a Bari, conta 139 lavoratori: 71 in Puglia, 15 in Campania e 53 in Basilicata. Gestisce otto dighe, quattro traverse, le sorgenti del fiume Tara e centinaia di chilometri di grandi reti di adduzione, con una capacità potenziale di accumulo e regolazione di circa un miliardo di metri cubi all’anno di acqua. Ma i suoi problemi finanziari sono enormi.
Dal 1979 sono diventate 39 le proroghe in luogo della soppressione, cui si è aggiunta la liquidazione decisa nel 2011. Un record. Ma che per gestioni discutibili ha visto negli anni l’assegnazione di consulenze esterne, nonostante le risorse e le competenze in seno al suo personale, dai più definite «faraoniche». I lavoratori avanzano due mensilità, come denunciano i sindacati e le prospettive per garantire le attività e i servizi istituzionali svolti sono inquietanti.
«All’annoso problema di liquidità – spiegano le segreterie di Fai, Flai e Uila – causato dal mancato pagamento dei clienti per i servizi espletati, tra i quali ne figurano alcuni molto importanti come Acciaierie Italia (ex Ilva) e l’Acquedotto pugliese -, ma anche come alcuni consorzi di bonifica di Puglia e Basilicata, si aggiungono le beghe burocratiche legate agli avvicendamenti commissariali che, in modo costante da oltre dieci anni, costellano la vita particolarmente travagliata dell’ente, senza giungere mai a una soluzione definitiva».
Antonio Gagliardi, segretario Flai Cgil spiega come «ci sia la volontà dei lavoratori di difendere il lavoro ed erogare i servizi ai territori delle regioni interessate si scontra con l’inerzia di una volontà politica non in grado di mettere fine a un’agonia che dura dal 2011 e certifica una colpevole disattenzione verso un soggetto pubblico che svolge una funzione fondamentale per le attività produttive e per le popolazioni».
Il segretario Flai aggiunge «il ministero dell’Agricoltura e le regioni coinvolte hanno l’obbligo di porre l’accento su un tema non più rinviabile. Intanto la dirigenza dell’ente conferma che è in grado di garantire solo una mensilità».
Il rischio concreto parla di una prospettiva salariale e occupazionale gravata da una situazione debitoria che oscilla tra i 60 e 70 milioni di euro.
«I dipendenti sono pronti a qualunque forma di protesta: ne va di mezzo la certezza occupazionale e la serenità delle loro famiglie».
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