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La Banca popolare è fuori dal processo ai suoi ex vertici, Marco e Gianluca Jacobini. La sua cancellazione dall’elenco dei responsabili civili è stata decretata ieri dal tribunale di Bari, presieduta dal giudice Marco Guida, dopo aver studiato a lungo l’eccezione sollevata dai legali dell’istituto di credito. Ma sia chiaro, scrivono i magistrati nella lunga ordinanza, l’esclusione dal processo come responsabile civile «Non compromette in via definitiva il diritto dei soggetti danneggiati al ristoro dei pregiudizi patiti in conseguenza dell’illecito, in considerazione del carattere del tutto accessorio e subordinato dell’azione civile nell’ambito del processo penale».
In sostanza, le migliaia di azionisti possono ancora chiedere un risarcimento in sede civile. Marco e Gianluca Jacobini, padre e figlio rispettivamente ex presidente ed ex condirettore generale dell’istituto di credito barese, sono accusati di aver falsificato per anni i bilanci e i prospetti, e di aver ostacolato l’attività di vigilanza di Bankitalia e Consob. La buccia di banana sulla quale è scivolato il processo è stata la mancata notifica alla banca di accertamenti tecnici irripetibili, sui telefoni e sui tablet sequestrati agli imputati, eseguiti però quando ancora la Bpb non era stata inserita nell’elenco dei responsabili civili. In tal modo, hanno sostenuto gli avvocati della banca, è stato violato il diritto di difesa.
Ma, secondo i giudici (e secondo la Procura che si è allineata alla richiesta della difesa) bisogna attenersi a quanto dispone la legge in questi casi: “Il giudice deve limitarsi ad una verifica esterna circa la sussistenza degli elementi indicati dalla parte – scrivono ancora – senza poter esercitare alcun sindacato sulla concreta portata pregiudizievole delle prove raccolte senza la sua partecipazione.” E ancora, evidenziano il “Diritto del responsabile civile a non essere destinatario di una pronuncia di condanna con dati di prova alla cui assunzione non ha partecipato, per il diritto al contraddittorio nell’assunzione della prova tipico del giusto processo.” Tant’è. E così, riassumono i giudici, bisogna andare avanti, cercando altre sedi in cui far valere i propri diritti.
Secondo il tribunale, infatti, “Alcuna lesione del diritto delle parti consegue a tale estromissione – spiegando che – è rimessa in capo al danneggiato la scelta consapevole e ragionata della sede nella quale far valere la propria pretesa”. Per i giudici, cioè, resta il “Diritto ad agire in giudizio esercitando l’azione di risarcimento del danno in sede civile – e, in ogni caso – l’esclusione dal processo del responsabile civile non priva in assoluto la possibilità al danneggiato di conseguire in sede penale il ristoro dei danni patiti in conseguenza dell’illecito, giacché la sua pretesa rimane intatta nei confronti degli imputati.”
Ma i fuochi non si sono spenti. I difensori di Marco e Gianluca Jacobini, gli avvocati Guida Carlo Alleva, Giorgio Perroni, Giorgio Antoci e Roberto Eustachio Sisto e Angelo Loizzi, hanno eccepito che il diritto di difesa dei loro assistiti sarebbe stato leso prima dell’inizio del processo, perché avrebbero dovuto pagare circa 30mila euro di diritti di segreteria per avere copia dei 92 dvd contenenti i file audio delle intercettazioni.
Denaro del quale, in quel momento, gli imputati non disponevano. Ieri hanno spiegato che la difesa aveva chiesto copia di tutti gli atti, comprese le tracce foniche contenute nei 92 dvd, sollecitando che i file fossero riversati tutti su un unico dvd, ma la Procura glielo avrebbe negato per il rischio di danneggiare gli originali. Per ottenerli, quindi, avrebbero dovuto pagare 323 euro per ciascun dvd, per un totale di circa 30mila euro. Hanno quindi eccepito la nullità del decreto di giudizio immediato anche per altre presunte violazioni del diritto di difesa, relativa alla mancata disponibilità di altri atti di indagine. Sulla questione il tribunale deciderà nel corso dell’udienza del 28 ottobre.
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