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Mario Lerario

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Condannato per corruzione l’ex dirigente a capo della Protezione civile Puglia Mario Lerario, condannato anche un imprenditore

BARI – Condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione Antonio Mario Lerario, l’ex dirigente della Protezione civile della Regione Puglia. Gli inquirenti avevano arrestato Lerario il 23 dicembre 2021 con l’accusa di corruzione. In particolare, il dirigente pubblico, secondo l’accusa, avrebbe intascato due tangenti da 20mila e 10mila euro da due imprenditori. Questi ultimi avevano in corso con la Regione appalti anche per la realizzazione di strutture per l’emergenza Covid.

Quattro anni di reclusione sono invece stati inflitti all’imprenditore Luca Leccese, accusato di aver versato la mazzetta di 10mila euro.

Per Lerario il giudice ha disposto anche l’estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione e la confisca per equivalente. La sentenza del processo di primo grado, celebrato con rito abbreviato, è stata emessa dal gup del Tribunale di Bari, Alfredo Ferraro.

Parzialmente accolte le richieste dell’accusa. Infatti, per Lerario il procuratore di Bari Roberto Rossi e l’aggiunto Alessio Coccioli avevano chiesto la condanna a sei anni di reclusione. I due magistrati hanno contestato il reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio. Per Leccese la richiesta era stata di quattro anni tanti quanti poi il giudice ne ha inflitti. 

CORRUZIONE, CONDANNATO L’EX CAPO DELLA PROTEZIONE CIVILE PUGLIA

La difesa dell’ex dirigente, affidata all’avvocato Michele Laforgia, nel corso del procedimento aveva respinto le accuse. Il legale ha negato l’esistenza di un accordo corruttivo legato agli affidamenti dei lavori fra Lerario e gli imprenditori Luca Ciro Giovanni Leccese e Donato Mottola.

Quest’ultimo ha preferito optare per il rito ordinario piuttosto che per l’abbreviato a giudicarlo il Tribunale di Bari. Anche per Mottola, come per Leccese, l’accusa è di aver versato a Lerario la mazzetta da 20mila euro. Lo scambio di denaro – secondo la difesa – sarebbe stato riconducibile, al massimo, a una retribuzione non dovuta correlata agli appalti. Per questa ragione la difesa ha presentato la richiesta di assoluzione. Per i legali, infatti, non ci sarebbe stata correlazione fra lo scambio di denaro e l’attività amministrativa svolta dall’imputato nell’esercizio della sua funzione.

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