L’ex capo della Protezione civile pugliese, Mario Lerario
2 minuti per la lettura«Pressioni» su altri funzionari per aiutare e favorire le aziende «amiche»: è su questo filone investigativo che la Procura di Bari sta lavorando per individuare la rete di persone che, anche involontariamente, possa aver agevolato l’ex capo della Protezione civile, Mario Lerario, arrestato lo scorso 23 dicembre con l’accusa di corruzione. Non solo avrebbe intascato alcune presunte tangenti, almeno due secondo la Procura di Bari, dagli imprenditori, ma si sarebbe prodigato per «sostenere» le aziende.
La guardia di finanza e la magistratura inquirente ritengono che Lerario non posso aver fatto tutto da solo, per questo si sta scavando per individuare i complici e per capire se l’ex capo della Protezione civile, approfittando del proprio ruolo apicale, possa aver indotto altri dipendenti regionali a commettere irregolarità. In particolare, gli accertamenti, per ora, si concentrano su un episodio riportato nell’ordinanza di custodia cautelare: l’ipotesi investigativa è che Lerario avrebbe fatto «pressioni» su una funzionaria regionale perché rilasciasse a uno dei due imprenditori ai domiciliari una certificazione non dovuta. «Un regalo fatto dal dottore», dirà poi l’imprenditore in una intercettazione dopo aver ottenuto la certificazione.
La vicenda delle presunte «pressioni» riguarda Donato Mottola, il quale il 22 dicembre ha poi consegnato all’allora dirigente una «mazzetta» da 20 mila euro. Un atteggiamento, quello degli imprenditori, che il giudice definisce «più servile che riverente». In una intercettazione del 21 ottobre 2021 nell’ufficio di Lerario, emerge che Mottola «era interessato ad ottenere una certificazione di esecuzione dei lavori (Cel) che potesse dargli la possibilità di ottenere un’attestazione Soa, il cui possesso avrebbe accresciuto il valore della sua azienda, acquisendo la possibilità di partecipare ad appalti altamente remunerativi».
La funzionaria preposta al suo rilascio avrebbe inizialmente negato l’emissione del certificato «ritenendo – si legge negli atti – che non vi fossero i presupposti». La funzionaria «dice che sta parlando di un appalto di oltre un milione – ricostruisce il giudice nell’ordinanza – e poi ci sta un altro di 100mila euro, spiegando che il problema lo potrebbero creare la Soa e l’Anac con dei controlli incrociati».
A quel punto Mottola si sarebbe rivolto direttamente a Lerario, «per ovviare all’inconveniente e ottenere il documento da lui preteso», il quale «esercitava pressioni» sulla funzionaria, «convocandola nel suo ufficio» alla presenza dell’imprenditore e, «nonostante la contrarietà della stessa, la convinceva a dare corso al rilascio della certificazione». Lerario, ieri mattina, è stato interrogato nuovamente da gip e Procura e si è difeso dicendo di non aver esercitato alcuna pressione perché quella certificazione era «dovuta».
Lerario, dopo l’arresto in flagranza per la seconda tangente, era già stato interrogato il 26 dicembre nell’udienza di convalida e in quella sede aveva ammesso di aver accettato le buste che poi ha scoperto che contenevano denaro, precisando – come hanno dichiarato anche i due imprenditori Luca Leccese e Donato Mottola – di non essere stato lui a chiedere «mazzette» ma che si trattava di iniziative degli imprenditori. Versione che ha ribadito anche ieri.
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