I due marò subito dopo l’arresto
3 minuti per la letturaUN attacco di pirati a cui risposero rispettando le regole di ingaggio. La Procura di Roma in «Una lunga, complessa e articolata» richiesta di archiviazione cristallizza 10 anni di indagine a carico dei due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre che erano accusati di omicidio per la morte di due pescatori indiani avvenuta nel febbraio del 2012 a largo delle coste del Kerala, nell’India sud occidentale.
I magistrati hanno trasmesso la richiesta al gip con la quale chiedono di fare cadere le accuse ai due nostri connazionali. Una svolta che era attesa ma accolta con emozione dai due indagati. «Voglio stringervi tutti e non solo virtualmente, ma fisicamente, perché non ho dimenticato quanto vi siete spesi per noi», scrive su Fb, Latorre mentre i familiari di Girone si auspicano che «questa vicenda si concluda presto e possa tornare la serenità».
Sono vari gli elementi che hanno portato la Procura di Roma a chiedere l’archiviazione del procedimento che era stato avviato quasi dieci anni fa dopo una denuncia presentata dallo stesso Latorre. La decisione dei pm romani non contrasta con il risarcimento di 1,1 milioni di euro alle vittime disposto nel giugno scorso dall’arbitrato dell’Aja in quanto il tribunale olandese aveva attribuito la giurisdizione penale sulla vicenda a Roma.
Nell’attività di indagine il procuratore Michele Prestipino e l’aggiunto Erminio Amelio hanno analizzato ad ampio spettro la vicenda giungendo alla conclusione che non si può procedere alla richiesta di processo perché esistono limiti procedurali insormontabili. «Le prove sono insufficienti per affrontare un giudizio», è la tesi di fondo dei pm di piazzale Clodio.
In primo luogo c’è la non utilizzabilità degli accertamenti svolti all’epoca dei fatti in India. Si tratta, ad esempio, delle autopsie sui due pescatori morti, i cui corpi sono stati cremati, o gli esami balistici svolti con regole che non sono quelle italiane. Una attività istruttoria irripetibile, la cui assenza negli atti causa un gap probatorio importante per la ricostruzione dei fatti.
Stesso discorso vale per quanto riguarda «l’assunzione di testimonianze e carte» non sufficienti ad attribuire in modo univoco il fatto ai due indagati. Nella richiesta di archiviazione gli inquirenti fissano, comunque, alcuni paletti. In particolare i magistrati affermano, anche alla luce di una serie di accertamenti tecnici, che gli indagati quel giorno rispettarono le regole di ingaggio. I marò videro arrivare il barchino e quando si trovava ad una distanza di 90-100 metri dalla Enrica Lexie mostrarono le armi per poi sparare i primi colpi in acqua. I due hanno, quindi, pensato di essere sotto attacco, come confermato dal personale indiano a bordo della nave sentiti dagli inquirenti italiani.
Una ricostruzione ribadita dagli stessi indagati nel corso degli interrogatori svolti nel luglio scorso. Nel fascicolo di indagine sono presenti anche i verbali del primo interrogatorio svolto 9 anni fa. «Abbiamo sparato 7-8 colpi in mare – raccontarono i due militari all’epoca – per scoraggiare l’avvicinamento di un’imbarcazione diversa da quella mostrata dalle autorità indiane», raccontarono all’epoca i due militari.
Nel 2013 la Procura dispose una perizia sul computer e su una macchina fotografica che si trovavano a bordo della nave. Sul pc di bordo sono registrate le conversazioni tra il comandante dell’equipaggio e l’armatore, nonché le comunicazioni fatte dagli organismi italiani mentre sulla macchina fotografica sarebbero state memorizzate le immagini del presunto attacco di pirati.
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