La sede provinciale di Bari della Guardia di Finanza
3 minuti per la letturaQuasi 40 persone coinvolte con 9 arresti tra Bari e Bat per l’accusa di truffa aggravata e altro in relazione al rilascio di falsi titoli di studio
BARI – I finanzieri del Comando Provinciale di Bari e BAT hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 9 persone. I destinatari del provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Trani, sono indagati insieme ad altre 30 persone. I reati contestati in relazione agli arresti messi a segno tra Bari e Trani sono, a vario titolo e in concorso tra di loro, di associazione per delinquere, truffa aggravata, falso materiale, corruzione e autoriciclaggio. L’operazione costituisce l’epilogo di una indagine, delegata al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari e alla Compagnia di Trani. Grazie all’inchiesta i finanzieri hanno svelato un’organizzazione dedita al rilascio di titoli di studio e professionali falsi o comunque senza valore legale nel territorio nazionale. Titoli emessi da sedicenti enti universitari, istituti scolastici paritari e scuole professionali dislocate in varie Regioni, in particolare Lazio, Lombardia, Calabria e Sicilia.
Il modus operandi partiva dalla costituzione di società di capitali all’estero (Cipro, Regno Unito e America Latina). Queste società erano solo in apparenza abilitate al rilascio di titoli di studio “riconosciuti” anche in Italia. Le indagini hanno consentito di accertare l’inesistenza delle società stesse. In particolare, la pluralità di truffe sarebbe frutta dell’azione di più strutture associative, tra loro connesse. Nel dettaglio, i principali indagati avrebbero creato un polo universitario con base operativa a Trani. Questo Polo si sarebbe avvalso di una “rete” composta da oltre 55 point dislocati su tutto il territorio nazionale. La rete era la base per reclutare studenti, aspiranti insegnanti o laureati e diplomati che avrebbero pagato circa 8.000 euro a testa per un titolo. L’obiettivo era accedere a concorsi pubblici e/o instaurare rapporti di lavoro soprattutto nel settore dell’istruzione (quali insegnanti di sostegno), conseguendo così un profitto illecito.
Le lezioni si sarebbero svolte tramite una piattaforma web appositamente creata, su cui era caricato anche il relativo materiale didattico, di dubbia validità e veridicità. Al termine dei vari corsi sarebbero stati distribuiti i plichi contenenti le pergamene, create dall’organizzazione, attestanti il conseguimento del titolo. In alcuni casi la consegna è avvenuta nel corso di eventi appositamente organizzati presso un hotel di Roma. L’organizzazione ha inoltrato via pec al Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) centinaia di richieste di riconoscimento dei titoli universitari. Richieste prive di qualsiasi documentazione a supporto, strumentali esclusivamente all’ottenimento di una ricevuta di protocollo – generata in automatico dal sistema informatico del dicastero – da utilizzare illecitamente per ottenere un temporaneo incarico di insegnamento.
A seguito di contrasti sulla spartizione dei profitti illeciti, l’organizzazione si sarebbe divisa in tre distinti gruppi. Il primo avrebbe offerto, nel tranese, percorsi formativi professionali attraverso la costituzione di altre imprese ed aggregandosi a nuovi soggetti. Il secondo avrebbe costituito un nuovo “polo” a Foggia – avvalendosi di ulteriori società e associazioni culturali – e acquisendo le quote di un’università privata albanese con cui garantire il conseguimento di titoli di studio senza valore legale in Italia. In questo contesto due degli indagati avrebbero corrotto un funzionario albanese al fine di garantirsi l’attivazione e la favorevole conclusione del procedimento di accreditamento dell’istituto. Il terzo gruppo, grazie anche all’apporto di un avvocato del foro di Reggio Calabria, avrebbe proposto ai truffati dal gruppo foggiano la consegna di una pergamena, creata ad hoc, in sostituzione di quella già ricevuta. Ovviamente dietro il pagamento di una somma oscillante tra i 500 e i 2.500 euro.
Gli ingenti proventi illeciti conseguiti, oggetto del provvedimento di sequestro collegato all’operazione, quantificati in circa 10 milioni di euro, sarebbero poi stati reinvestiti nell’attività criminosa, nell’acquisto di beni mobili (tra cui una Maserati) ed immobili (opportunamente “schermati” dall’intestazione a persone giuridiche). Parallelamente, gli inquirenti hanno sottoposto a sequestro impeditivo le quote sociali di 8 imprese, con la nomina di un amministratore giudiziario. I finanzieri hanno eseguito decine di perquisizioni personali e locali in tutta Italia e segnalato le società coinvolte per i profili di responsabilità amministrativa dipendente da reato.
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