Una toga in un'aula di tribunale e Michele Nardi
5 minuti per la letturaLECCE – «Ero stato condannato a 16 anni e 9 mesi, una sentenza senza precedenti nella storia giudiziaria italiana, tenendo presente che le accuse non erano di omicidio ma di corruzione. Peraltro un’ipotesi di corruzione molto particolare, perché sono stato condannato in quanto sarei stato l’ “ispiratore morale” della corruzione di altri magistrati. Un “ispiratore morale che lavorava a 500 km di distanza, cioè a Roma, mentre queste corruzioni erano perpetrate dai colleghi di Trani. Una di quelle cose incomprensibili prive di qualsiasi logica».
Così all’AdnKronos l’ex Gip di Trani Michele Nardi, dopo che la Corte d’appello di Lecce ha dichiarato la propria incompetenza territoriale, trasmettendo gli atti alla Procura di Potenza e annullando la condanna a 16 anni e 9 mesi inflitta in primo grado per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari.
«La Corte d’appello di Lecce – osserva Nardi – ha annullato la sentenza perché ha accolto quello che noi abbiamo sempre sostenuto fin dall’inizio delle indagini, prima ancora che io venissi arrestato, e cioè che la procura di Lecce, appunto, era incompetente territorialmente a condurre quelle indagini. Lo era perché fin dall’inizio era emerso il coinvolgimento di altri magistrati che poi erano passati a lavorare nel distretto di Lecce, e quindi non poteva essere Lecce a decidere e a condurre queste indagini».
«Quando abbiamo evidenziato questo fatto – sottolinea l’ex giudice – ci è sempre stata sbattuta la porta in faccia, fino a quando non abbiamo trovato un giudice a Berlino, in questo caso a Lecce, che si è letto le carte. Per noi è stato addirittura sorprendente, perché non ci aspettavamo che oggi pronunciassero la sentenza. Evidentemente si sono letti bene le carte e dopo una sola udienza ci hanno rinviati ad oggi, alla seconda udienza, decidendo sulla competenza. Questo la dice lunga sul fatto che l’incompetenza della procura del tribunale di Lecce era evidente, ma hanno continuato nonostante tutto a persistere nella loro attività costante nei miei confronti».
«Mai nessun magistrato italiano, dalla fondazione della nostra Repubblica, è stato tenuto 30 mesi in custodia cautelare – si sfoga Nardi con l’AdnKronos -, io ne ho passati 18 in carcere, continuamente gridando di essere innocente. Ne ho passati altri 12 agli arresti domiciliari, ho passato un mese anche in un ospedale psichiatrico giudiziario. Io mi sono sempre professato innocente perché sono innocente, ma loro hanno continuato questa tortura nella speranza di estorcermi una confessione. Come ai tempi della Santa Inquisizione».
«Di idee sulla mia condanna me ne sono fatte tante – confessa Nardi -, ma preferisco al momento tenerle per me per evitare di beccarmi qualche altra denuncia per diffamazione o calunnia. Fatto sta che molto spesso, e ciò al di là del comportamento dei colleghi di Lecce, i magistrati hanno un grosso difetto sul quale bisognerebbe riflettere a livello collettivo, e cioè che quando prendono una strada, ritengono che sia un segno di incapacità o debolezza ammettere di avere sbagliato, e quindi persistono nei loro errori, nelle loro accuse e nella loro azione anche a costo di sacrificare un innocente».
«Il trattamento mediatico che ho ricevuto, soprattutto a livello locale, è stato drammatico – aggiunge l’ex Gip -, un linciaggio costante e continuo. I miei figli, che adesso sono maggiorenni, ma al momento in cui sono stato arrestato uno era minorenne, sono stati minacciati varie volte di essere bruciati vivi in casa per il solo fatto di essere i miei figli. Noi abbiamo vissuto più di tre anni, da quando sono stato arrestato il 14 gennaio 2019 ad oggi, in uno stato costante di terrore. Io stavo in carcere, non potevo sentire i miei figli se non dieci minuti a settimana, non potevo vederli, con la paura che gli facessero del male. Una tortura psicologica».
«Purtroppo – sottolinea Nardi – c’è un asservimento, soprattutto per quanto riguarda le testate locali, rispetto alle procure della Repubblica. Ma bisogna riflettere anche su un altro aspetto. Nel nostro Paese si è creato una sorta di regime composto da alcune procure, alcuni magistrati, i mass media e alcune forze di polizia. Questo regime, che è un regime autoritario e non democratico, mette in pericolo la libertà di tutti. Oggi è toccato a me, ma domani toccherà a qualcun altro. Ogni anno in Italia mille innocenti vengono incarcerati. Ma la cosa peggiore è che la stampa, che dovrebbe essere portatrice e difensore dei principi di libertà, primo fra tutti la considerazione di non colpevolezza, è la prima a dare addosso alle persone, ai presunti colpevoli. Evidentemente perché fa piacere».
«La mia vicenda non si è conclusa, perché adesso si dovrà rifare il processo a Potenza – sottolinea Nardi all’Adnkronos -, noi speriamo veramente che con il più ampio approfondimento possibile, il più ampio dibattimento e la più ampia possibilità di acquisire nuove prove, si accerti la verità. Perché la verità non la temiamo, anzi, l’abbiamo invocata costantemente per tre anni. Io sono innocente e non ho paura di nulla. Ma spero che questa mia vicenda faccia riflettere tutti quanti. Hanno fatto questo a me che pure non ero l’ultimo di questa comunità. Ero sostituto procuratore Roma, mio padre è stato procuratore in Cassazione, mio zio anche in Cassazione, una famiglia di magistrati professionisti».
«Io che non ho fatto nulla, ed è materialmente provato che non ho fatto nulla, ho subito questo, dunque possono fare qualsiasi cosa a chiunque – chiosa Nardi -, spero che il mio caso sia un’occasione di riflessione collettiva su quello che stiamo diventando come Paese». Fin qui la reazione del magistrato.
Il processo è quello chiamato “Giustizia svenduta” e riguarda presunti illeciti compiuti anche dall’allora pm di Trani Antonio Savasta, ritenuto complice di Nardi e di altri imputati. Proprio Savasta (condannato in primo grado con rito abbreviato a 10 anni) potrebbe ora sollevare in appello l’incompetenza funzionale dei magistrati salentini e provare ad azzerare il processo a suo carico e a trasferirlo al tribunale di Potenza. Nardi e Savasta sono accusati di aver garantito esiti processuali favorevoli in più vicende giudiziarie e tributarie in favore di imprenditori coinvolti nelle indagini dei pm di Trani in cambio di danaro, gioielli e varie utilità.
Alla fine del processo di primo grado il Tribunale di Lecce, il 18 novembre 2020, aveva condannato l’ex giudice Nardi a 16 anni e 9 mesi per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, a 9 anni e 7 mesi l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, ritenuto complice dell’ex pm tranese Savasta; 6 anni e 4 mesi erano stati inflitti all’avvocatessa barese Simona Cuomo; 5 anni e 6 mesi a Gianluigi Patruno; 4 anni e tre mesi a Savino Zagaria, cognato di Savasta.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA