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La targa in ricordo di Ahmed

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Una targa che vale più di tante parole e che racconta quello che avviene ogni giorno nel silenzio. E’ la lapide per ricordare Ahmed Saki morto di freddo un anno fa a Barletta, che da ieri è su un muro della ex stazione teleferica della litoranea di Ponente di Barletta.

Nato a Khzazra in Marocco nel primo giorno dell’anno, nel 1974 e morto di freddo, solo nel ghetto degli schiavi di lavoro, a Barletta il 15 febbraio dell’anno scorso.

«Abbiamo affisso una targa e deposto dei fiori, simboli non solo di un ricordo ma di una rivendicazione sociale – spiegano dall’Ambulatorio Popolare che ha promosso l’iniziativa – senza fasce tricolori, senza carabinieri a cavallo, senza autorità in cerca di facili consensi. Una targa per la prima volta non su un palazzo storico, non nelle vie del centro, ma in un inferno in terra, dove nessuno passa mai. Un monumento alla nostra cecità, al nostro passare oltre, al silenzio dei nostri cuori».

Bracciante nell’inferno dei campi pugliesi, Ahmed è diventato il simbolo di quella che ancora oggi è la storia degli schiavi, in una regione che dell’agricoltura fa il suo fiore all’occhiello. Ahmed viveva nel ghetto dell’ex teleferica che altri disperati come lui avevano tentato di trasformare in una casa, accanto a cumuli di rifiuti e con qualche materasso, simile a un letto tradizionale. Il Quotidiano del Sud solo qualche settimana fa aveva pubblicato le foto di quel luogo, documentato dall’Ambulatorio Popolare. E da quell’inferno Ahmed non era più tornato.

«Ahmed era un bracciante agricolo di origine africana, uno dei tantissimi che anche a Barletta, per pochi euro e al nero, lavorano nelle campagne degli italiani in condizioni di gravissimo sfruttamento da parte dei proprietari dei terreni e dei caporali. Raccolta dell’uva, degli ortaggi e delle olive, ciclicamente, nella assenza di qualsiasi tutela, nella assenza dello Stato, della Regione e del Comune.

La notte, per queste persone, si passa all’addiaccio, sotto qualche coperta o rifugiati in tenda, quando va bene. Le tende sono stracci o teloni di plastica tesi su aste in ferro o pali in legno: condizioni igieniche e sanitarie drammaticamente inesistenti, protezione dal freddo prossima allo zero.

Tende allestite nelle periferie, per non farsi vedere da nessuna e nessuno, nelle campagne o in spiaggia, nella ex Cartiera di Barletta, allo scalo merci della Stazione ferroviaria, nel fabbricato dell’ex Anagrafe in Via Cialdini; oppure in quello dell’ex Stazione teleferica di Barletta sulla Litoranea di ponente in cui Ahmed aveva deciso di rifugiarsi».

E’ da quella storia che oggi Barletta deve ripartire e, come spiegano ancora da Ambulatorio Popolare: «Non possiamo più tollerare che delle persone siano costrette a vivere in queste condizioni di massima povertà, emarginazione e degrado, condizioni che sono la vergogna di tutti gli esseri umani esseri umani e in particolare della nostra comunità.
Abbiamo immobili pubblici abbandonati e immobili confiscati alla mafia: alcuni di questi devono – non possono, devono – essere destinati quanto prima a dormitorio pubblico per le persone senza dimora».

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