3 minuti per la lettura
Cinque cartelle Imu, ciascuna dal valore di 100mila euro più un buon 30 per cento tra sanzioni e interessi maturati. Tutte riferite alle ultime cinque annualità, essendo andate in prescrizione le precedenti sette. Il Comune di Bari bussa alla porta dei Messeni Nemagna chiedendo il versamento dell’Imu per il teatro Petruzzelli, rientrato nella proprietà della famiglia in base alla sentenza della Corte di Appello dello scorso 18 novembre.
Gli uffici Tributi hanno proceduto alle notifiche degli avvisi di pagamento calcolati sull’aliquota ordinaria del 10,6 per cento e riferiti alle sole unità teatrali. Escludendo tutte le parti commerciali, come il bar pasticceria e il Circolo Unione, unità per le quali la famiglia già paga l’Imu. Una bella stangata da 500mila euro sulla quale i tecnici comunali hanno applicato l’abbattimento del 50 per cento previsto dalla legge per gli immobili di notevole interesse storico ed artistico.
In pratica agli eredi viene chiesta la somma di 250mila euro di sola Imu base, non richiesta invece per i primi sette anni a partire dal 2009. È l’anno in cui il Petruzzelli è stato riaperto al pubblico e, secondo i giudici, da quella data gli eredi avrebbero dovuto riprenderne il possesso (circostanza impedita dalla decisione del Comune di auto-assegnarselo con una semplice delibera di consiglio comunale che la sentenza ha di fatto stracciato).
Insomma, la richiesta dell’Imu è una chiara mossa da parte di Palazzo di Città proprio nel momento in cui le parti erano tornate a dialogare sulla possibilità di sanare da subito la posizione dell’attuale inquilino del teatro. Quella Fondazione che oggi non è più legittimata ad occupare un immobile non più pubblico, ma privato. Da qui l’ipotesi rilanciata dal Comune di regolarizzare la presenza dell’ente lirico partendo dallo schema della convenzione che sino al 1991 regolava i rapporti tra l’allora gestore del teatro Ferdinando Pinto e i Messeni Nemagna.
L’accertamento Imu in queste ore viene interpretato con una doppia lettura: da un lato il Comune fa la sua parte di ente che deve far cassa, dall’altro però riconosce di fatto la proprietà privata del teatro, ancor prima di ogni sentenza definitiva e ancor prima della partita degli indennizzi (i giudici hanno stabilito che i proprietari del teatro dovranno versare allo Stato oltre 43 milioni di euro per il denaro pubblico speso nella ricostruzione).
In una seconda lettera il Comune chiede invece alla famiglia di procedere con l’aggiornamento della rendita catastale dell’immobile, ancora oggi ferma al 1991, anno dell’incendio. Già negli anni scorsi era stata la stessa amministrazione comunale a tentare le variazioni catastali, ma mai accolte essendo insufficiente il titolo di proprietà rappresentato da una semplice delibera di consiglio comunale, quella che nel 2010 tolse i privati dal teatro per acquisirlo al patrimonio pubblico.
Nelle prossime ore è attesa la corposa risposta dei legali della famiglia, pronti a chiedere tutta la documentazione sull’Imu ma anche un’ispezione nel politeama. E nel caso di un mancato accordo, è logico attendersi un ricorso davanti alla commissione tributaria. Ma non solo. Sull’altro binario procede anche la questione sul protocollo d’intesa che dal 2002 in poi avrebbe tenuto insieme le ragioni di tutti: la parte pubblica gestiva il teatro dando ai privati un canone annuo di 500mila euro.
Protocollo che i giudici della Corte d’Appello hanno ritenuto inefficace per la mancata ratifica da parte dell’allora Provincia di Bari. E non è da escludere che la famiglia presenti una richiesta di risarcimento proprio all’ente di via Spalato per non aver dato seguito agli accordi sottoscritti davanti al Ministero della Cultura.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA