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Latorre, il primario, e la squadra dell’Utin di neonatologia del Miulli

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Immaginate una madre e un padre alle prese con un figlio nato da appena tre settimane che ha un respiro anomalo. Immaginateli consultare pediatri che non colgono cosa stia accadendo, perché il virus è così: peggiora le condizioni cliniche nel volgere di poche ore. Immaginateli ai limiti di una crisi di nervi, decidere di mollare tutto e correre a sera col proprio piccolo verso l’unico luogo disponibile ad accogliere le loro domande. Immaginate il pronto soccorso dell’ospedale pediatrico impegnato con altre emergenze comprendere la gravità della situazione, applicare subito l’ossigeno con un supporto di almeno il 30 per cento e cercare un posto in una terapia intensiva neonatale per bronchiolite da virus sinciziale.

È così che chi scrive si è trovato, in piena notte, catapultato nella dimensione del pericolo per il proprio figlio, nelle mani delle strutture sanitarie, messe a dura prova da un virus che colpisce i neonati come il Covid fa con gli adulti. E così, in preda all’angoscia per ciò che non ci aspettavamo, che lo abbiamo affidato alle mani di medici e infermieri, all’1 e 30 del mattino, dell’ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti. È lì che tra tubi di ossigeno attaccati su un viso minuscolo, cannule per l’alimentazione dirette allo stomaco, flebo e aghi al piede per le cure antibiotiche, abbiamo vissuto giorni tra l’angoscia e la professionalità di medici, infermieri e operatori socio sanitari.

Non abbiamo incontrato una famiglia ma una squadra preparata a reggere l’urto di decine di neonati impegnati a rimanere al mondo. Non una casa ma un centro attrezzato per far fronte a un’emergenza che attraverserà tutto l’inverno. Abbiamo trovato umana comprensione per le lacrime e i timori, il giusto equilibrio perché le cose funzionassero, per permettere a tutti, dall’addetto all’igiene al primario, di far marciare una macchina che tra turni di notte, poppate, cambi di bambini, tentativi di calmare i loro pianti, interventi d’urgenza, visite cliniche e monitoraggi continui, rappresenta un’unica grande mano in grado di reggere il filo della vita degli esseri più preziosi che abbiamo. Ci siamo affidati alla squadra del primario Giuseppe Latorre (citiamo lui per tutti) e dei professionisti che si avvicendano lavorando per la vita di bambini nati prematuri o affetti da patologie.

Li abbiamo tediati con domande ricche di ansia e come non mai abbiamo compreso l’importanza di ogni prezioso euro speso per la sanità pubblica. I primi a essere contenti dei miglioramenti erano loro, attenti a non illudere, a ricordare che fanno il possibile, a far comprendere che le cose stavano andando per il verso giusto: «Ha ripreso a mangiare, abbiamo tolto l’ossigeno, 48 ore e tornerà a casa». A loro e alla struttura, dall’ufficio stampa agli addetti all’ingresso e alle pulizie, non possiamo che volgere il nostro più sentito grazie. Immaginate di essere stati il nostro porto sicuro, come per ogni piccolo paziente costretto a varcare quella soglia: i complimenti ve li meritate tutti.

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