Il quartiere San Paolo a Bari
2 minuti per la letturaCHE l’investimento nel settore del “mattone” fosse particolarmente conveniente, Carlo Volpicella, affiliato al clan Montani del quartiere San Paolo, lo aveva capito fin troppo bene. E, su una branda del carcere, detenuto per aver fatto parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di rapine, furti in abitazione e ricettazione, aveva pianificato come utilizzare le centinaia di migliaia di euro accumulati negli anni.
Nasce così, secondo il provvedimento che è stato firmato dalla presidente della Terza sezione penale del Tribunale di Bari, Giulia Romanazzi, il progetto che lo ha portato poi a vivere con sua moglie in un lussuoso appartamento di sette vani, di un valore stimato in circa 250mila euro, che ieri mattina è finito sotto sequestro preventivo.
La giudice, nel decreto di sequestro, ricostruisce gli oltre venti anni di attività criminale di Volpicella, dimostrando come il 45enne non avesse in realtà alcuna capacità economica che gli consentisse di effettuare un investimento di così ampia portata. Sono stati, al contrario, i molteplici furti nelle abitazioni, le rapine, le estorsioni ed il traffico di sostanze stupefacenti che hanno permesso a Volpicella, persona nota negli ambienti malavitosi baresi, di accumulare il capitale necessario ad “investire nel mattone”.
Il provvedimento, che è stato eseguito ieri dai carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Bari, coadiuvati da quelli della Compagnia San Paolo, racconta anche la caratura criminale di Volpicella, che già da minorenne aveva messo a segno numerosi furti in abitazione, per poi affiliarsi negli anni Novanta al clan (allora egemone nel quartiere) Montani. Erano gli anni Duemila e al quartiere San Paolo comandavano loro, a suon di proiettili. Carlo Volpicella contribuiva con «i molteplici furti in abitazioni, le rapine, le estorsioni e il traffico di sostanze stupefacenti».
E proprio in quel quartiere aveva poi continuato a vivere, acquistando a nome della moglie ed attraverso del denaro all’apparenza donatole dai genitori, un lussuoso appartamento composto da sette vani.
Il piano prevedeva prima una finta donazione da parte dei suoceri, che permetteva alla moglie di acquistare una casa poi rivenduta, a distanza di solo qualche anno, ad un valore che era quasi triplicato. Immediatamente dopo, ecco quindi il nuovo investimento con il conseguente acquisto, circa dieci anni fa, dell’abitazione dove la coppia aveva stabilito la propria residenza.
Ma gli accertamenti svolti dai carabinieri, seguendo a ritroso la provenienza del danaro utilizzato, hanno evidenziato come in realtà tutto, fin dall’inizio, fosse frutto di una donazione fittizia, messa in scena soltanto per simulare l’illecita provenienza del danaro accumulato da Volpicella. Nello specifico, grazie ad una analisi effettuata dalla quarta sezione del Nucleo investigativo, che è specializzata nel settore delle indagini patrimoniali, si è potuta constatare una sproporzione rispetto ai redditi dichiarati di oltre 370mila euro. Un riscontro, questo, eseguito attraverso la verifica dei redditi dichiarati negli ultimi venti anni.
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