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Stop a «chirurgo», «direttore sanitario» o «primario». No, l’Asl di Bari non ha messo al bando i medici, ma ha deciso di cancellare per sempre dai suoi documenti e atti amministrativi quelle parole che generano «discriminazione di genere nel linguaggio». Così, da oggi in poi, la «direttrice sanitaria» dovrà sostituire la formula generica al maschile «direttore sanitario», nel caso in cui il ruolo sia ricoperto da una donna. E lo stesso vale per tutti gli altri incarichi, ad esempio la «chirurga» prenderà il posto del chirurgo e «l’avvocata» dell’avvocato, come primaria di primario.

Le raccomandazioni sono state inserite in un vademecum, approvato dalla direzione generale per evitare che la direttiva cada nel vuoto, che mira a declinare il linguaggio in tutti gli atti amministrativi per «tutelare le pari opportunità e promuovere la cultura di genere». In un momento storico in cui in Italia si discute e litiga sulla parità di genere e le discriminazioni legate all’orientamento sessuale, l’Asl di Bari, la prima in Italia, prova a fare scuola nel suo piccolo con una delibera per certi versi «rivoluzionaria».

Una scelta nata non per caso, visto che nell’azienda sanitaria barese il 70 per cento del personale è donna. L’Asl è una delle prime pubbliche amministrazioni in Italia ad aver adottato un provvedimento che fornisce istruzioni sull’uso di un linguaggio rispettoso delle differenze di genere, in sintonia con le indicazioni europee e nazionali. «Siamo sensibili al tema delle pari opportunità – commenta il direttore generale dell’azienda sanitaria, Antonio Sanguedolce – e abbiamo voluto intraprendere questo percorso che va a ribaltare la prospettiva e l’approccio nei confronti delle lavoratrici.

Con questa iniziativa – prosegue Sanguedolce – l’Asl desidera offrire uno strumento per avviare, con il contributo di ognuna/o, un processo di cambiamento sociale e culturale, che evidenzi i nuovi ruoli e le nuove posizioni ricoperti dalle donne e favorisca, nella nostra comunità, la cultura di genere anche nella lingua». La proposta è partita dalla Unità operativa complessa Servizio di informazione e comunicazione istituzionale e dal Comitato unico di garanzia nell’ambito del piano triennale delle «Azioni positive 2021/2023» che ha prodotto un documento che fornisce indicazioni per evitare espressioni e usi della lingua che alludano a discriminazioni tra i sessi. Un ruolo attivo nell’adozione del provvedimento è stato quello del Comitato unico di garanzia della Asl, guidato dalla dottoressa Domenica Munno.

Le linee guida sull’uso delle parole sono state precedute da un’analisi di richieste, avvisi, formulari per istanze dei cittadini e delle cittadine, deliberazioni e determinazioni dell’Asl, dai quali si «evince l’uso frequente del cosiddetto maschile generico che subordina il femminile al maschile», si legge nel provvedimento di adozione.

«Cioè – spiega ancora l’Asl – un maschile presunto neutro e universale, che comprende l’uomo e la donna. Esso rappresenta in realtà uno degli usi linguistici più discriminanti. Il genere grammaticale neutro, infatti, in italiano non esiste e il genere grammaticale maschile è, appunto, maschile, quindi in riferimento a esseri umani evoca quelli di sesso maschile». «Nonostante la presenza delle donne in ruoli, professioni e carriere fino a pochi anni fa esclusivamente maschili – spiega Munno – vi è una resistenza nell’uso della lingua a riconoscere questo cambiamento, lingua che usa ancora il maschile attribuendogli una falsa neutralità e che rende difficoltoso il percorso di rimozione degli stereotipi di genere.

La lingua non è solo uno strumento di comunicazione attraverso il quale vengono trasmesse informazioni e idee – continua – essa riflette nei suoi usi la società che la utilizza e nello stesso tempo, influenza quest’ultima nel modo di pensare, di giudicare, di classificare la realtà; dietro forme ed espressioni linguistiche di uso comune spesso si celano pregiudizi sociali, culturali e sessuali che si trasmettono senza volerlo nel linguaggio».

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