Matteo Berrettini
3 minuti per la letturaComunque vada a finire a Londra stasera, 11 luglio 2021, è festa nazionale. È il natale dello Sport italiano. E può diventare il Giorno di ripresa e resilienza del vigore italico.
Matteo Berrettini è il primo connazionale della storia a giocare una finale a Wimbledon. E lo farà contro il numero 1 del mondo. Qualche ora prima e qualche chilometro più in là di Berardi e compagni, che contenderanno ai padroni di casa la finale di Euro 2020 di calcio.
Delirio azzurro. Non è un sogno. Qui siamo oltre. E’ già storia. Suggestioni extracorporee, congiunzioni astrali probabilmente irripetibili. Quelle circostanze in cui la retorica rischia di ammorbare pensieri, parole e concetti. Ma tant’è. Davanti ai gesti bianchi del ragazzone tirato su dal fido Vincenzo Santopadre al Tc Canottieri Aniene di Roma difficile tenere il freno a mano tirato. Santopadre, dicevamo. Piace pensare che nell’impresa ai confini dell’epica che si materializza oggi nel tempio del tennis planetario ci sia un pizzico di Calabria. L’ex davisman e numero 68 del ranking mondiale oggi coach di Berrettini a tempo pieno, infatti, fino a qualche anno fa era di casa a Reggio, dove ha vinto 5 edizioni dell’Open allo Sport Village Catona. Poi è diventato il guru del più potente, e destinato a diventare il più forte, tennista azzurro.
Il tennis secondo Matteo è un percorso a tappe, che dopo una gioventù piuttosto defilata, è cresciuto come uno tsunami che si abbatte con bestiale energia contro i malcapitati avversari che gli si presentano lungo il maestoso incedere. Schiacciati come zanzare dal Ddt. Chiedere a Pella, Van de Zandschulp, Bedene, Ivashka, Auger-Aliassime e Hurkacz per credere.
Djokovic no, il serbo che diventerà a breve il più titolato di tutti i tempi è un’altra cosa rispetto al resto del circuito. E oggi avrà certamente progetti diversi da quelli di Berrettini. Che è arrivato sul Centre Court dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club non certo per fare la comparsa e sentirà la spinta di un popolo di 60 milioni di tifosi pronti a celebrare il D-Day dello sport italiano nel cuore di Londra, per un giorno capitale del Belpaese. Come i ragazzi di Mancini, il gigante buono di Roma Nord ha già vinto prima di entrare in campo. Non è lì per caso. Il 25enne capitolino ci arriva da vincitore assoluto del Queen’s, altro antico salotto dell’aristocrazia tennistica mondiale che anticipa il sacro suolo di Wimbledon, e dopo aver incenerito 11 avversari di fila su quell’erba mai stata così di casa nostra.
Un metro e 96 centimetri di spavalda virulenza. Col servizio battezza, col dritto sentenzia. Con la smorzata incanta. Con la testa predica, Berrettini. Migliorasse a rete svetterebbe sulla Supernova delle racchette. Ma già così, top ten stabile, è tanta roba. Tennista italiano atipico per caratteristiche fisiche e tecniche. Non certo per temperamento.
Oggi è il primo umano ad arrivare su Marte. Sul prato più nobile. Con umiltà e troppe critiche alle orecchie. Una convinzione grande così e tanto lavoro sulle gambe.
Oggi è uno dei giorni più belli nella storia dello sport azzurro. Magari il presidente Mattarella facesse una puntatina, ospite d’onore del Royal Box.
Da Wimbledon a Wembley è un attimo. Ma lungo tutta una vita. WEMBLEDON, titolava efficacemente ieri il Corriere dello Sport. Domani tireremo le somme, oggi ce la godiamo. E non lo dimenticheremo mai. “Per vincere una finale bisogna divertirsi” ha detto Mancini l’altro ieri. E questo Berrettini lo sa bene. Preparate i popcorn. I sorrisi (e qualche frigorifero) li porta lui.
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