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Cesare Cremonini

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Dopo più di due anni di pausa Cesare Cremonini ritorna con un nuovo album, “Alaska Baby”. Un progetto che ha il sapore di un disco d’esordio e che rappresenta la sua rinascita non solo artistica


PARTE da un viaggio alla ricerca di sé il nuovo capolavoro di Cesare Cremonini. Perché di capolavoro si tratta. “Alaska baby”, l’ultimo album in studio del cantautore bolognese – uscito lo scorso 29 novembre per Emi records/Universal music – colpisce già dalle prime note e segna non solo il ritorno di Cremonini dopo più di due anni di assenza ma lo consacra, ancora una volta, come uno dei cantautori più apprezzati degli ultimi tempi. “Alaska baby” è a tutti gli effetti un’opera d’arte, un disco che ha il sapore di un debutto nonostante sia l’ottavo (in studio) della sua carriera. È proprio lui a definirlo «vitale ed esplosivo, come un disco d’esordio». E al suo interno c’è tutta l’intimità di Cremonini, le sua paure, i suoi sentimenti, la sua rinascita e quella sperimentazione musicale che da sempre lo contraddistingue.

Questo viaggio in musica – che lo vede oltre che autore (e coautore assieme a Davide Petrella) anche produttore artistico insieme ad Alessandro De Crescenzo, Alessio Natalizia e Alessandro Magnanini – si apre con il brano che dà il titolo all’album “Alaska baby”. Un tripudio di suoni che fanno pensare alla colonna sonora di un film, ma di quelli importanti, immortali. Ed è immediato il messaggio che Cremonini vuole mandare con questo disco: bisogna perdersi per poi ritrovarsi. Proprio come ha fatto lui, partendo da Bologna, attraversando l’America, e fino all’Alaska ed è qui che «It’s Alaska Baby!».
Arriva poi la tappa “Ora che non ho più te”, il brano che in poco tempo si è affermato ai vertici di tutte le classifiche italiane e l’unico singolo rilasciato prima dell’uscita dell’album. Una canzone inizialmente nata come una ballad, piena di dolore, poi trasformata successivamente in un mid tempo. Racconta la fine di un legame ma anche l’importanza di metabolizzare, di saper lasciare andare e di ritrovare la propria libertà prendendosi il giusto tempo.

“Aurore boreali” è la terza traccia ma segna anche la fine del viaggio di Cremonini che in Alaska ha trovato quella luce magica che cercava. Arriva inaspettata, grazie ad un messaggio di Elisa Toffoli, ed è così che inizia questa collaborazione in un brano che fonde perfettamente le loro due voci e che regala al disco quel senso di speranza ritrovata.
A questo punto è il momento dell’«opera». È lo stesso Cremonini a definire così “Ragazze facili”. Un brano dal titolo ingannevole che racconta però la paura più comune a tutti: quella di amare. Ma anche il coraggio di farlo. È forse il brano più intimo di questo disco, in cui al suo interno c’è tutta l’anima di Cremonini. Anche in questa traccia è presente Elisa, è sua infatti la voce dei cori.

“Dark room” è una canzone dal sound sexy in cui si cela un messaggio profondo, un incitamento a fidarsi del futuro, del domani. E segna anche un’altra collaborazione, quella con il leggendario pianista Mike Garson, il cui incontro Cremonini dice «era scritto nel destino».
Ma è “San Luca” uno dei punti cardine di “Alaska baby”. In questo lungo viaggio a migliaia di chilometri di distanza, Cremonini ha sentito il richiamo di casa. Ad 8000 chilometri da Bologna ha intravisto l’immagine del Santuario della Madonna di San Luca, lo stesso scenario che vede ogni mattina dalla finestra della sua casa e un simbolo della sua città. “San Luca” è infatti dedicato alla sua Bologna e segna il punto di arrivo dopo tanto girovagare, quando finalmente ha ritrovato la sua strada, quella verso casa. E per l’occasione ha voluto cantare questo brano con Luca Carboni, una delle voci simbolo di Bologna.

Il timore della solitudine, le parole che fanno male, le notti insonni sono tutte descritte nel brano che apre la seconda metà del disco, “Un’alba rosa”. Con un pianoforte predominante descrive quella luce che in fin dei conti ci rimette al mondo solo guardandola. Una rinascita. La stessa rinascita che lo ha portato a realizzare questo album. Ancora una volta è protagonista la veduta dalla sua finestra e quella luce che esplode, la stessa luce che ha ritrovato in Alaska.
I suoni più contemporanei ed elettronici ritornano con “Streaming”, brano in cui i contrasti sono evidenti. Ed è anche il punto in cui il disco si fa più ritmato e più leggero. La stessa leggerezza che troviamo in “Limoni”. Un pezzo allegro ma che ancora una volta incita al coraggio di lasciarsi andare.

Tra le varie sperimentazioni di Cremonini – in un album che è un mix esplosivo di generi musicali – c’è anche quella di “Il mio cuore è già tuo”, che strizza l’occhio alla musica dance, house, anche grazie alla collaborazione con i Meduza.
Ancora una volta torna il coraggio di lasciarsi andare, di aprirsi a nuovi sentimenti. Tutto questo è scritto e cantato in “Una poesia”. Note dolci, quasi come una ninna nanna. Controcanti e giochi di archi che rimandano alla cifra stilistica di Cremonini.
Il viaggio si conclude poi con “Acrobati”, un equilibro instabile «la voglia di rischiare» e di spingersi «oltre il confine». Il motore di questo viaggio.

Con questo disco Cremonini va contro corrente, nonostante per la prima volta siano presenti numerose collaborazioni. Il cantautore infatti non è molto avvezzo ai featuring. Lui stesso ha precisato che in questo disco le collaborazioni presenti non sono una decisione propagandistica, una scelta di marketing, bensì il frutto di una pura contaminazione musicale. E poi c’è la durata del disco, 12 tracce, quasi tutte di più di 4 minuti (2 anche più di 5 minuti; ndr), l’inaspettato ai tempo d’oggi dove tutto si consuma in canzoni brevi e video di 15 secondi. Cremonini si è preso il suo tempo: per far ascoltare la sua musica, per realizzarla, per ritrovarsi; E tutto questo in “Alaska Baby” si sente.

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