Gli studenti dell’Unical al fondo rustico “Lamberti” di Chiaiano, nel Napoletano
3 minuti per la letturadi GIANCARLO COSTABILE
«CREARE qualcosa che ancora non esiste deve essere l’ambizione di tutti coloro che sono vivi». La narrazione del riscatto meridionale muove da questa idea di Paulo Freire, per costruirsi esplicitamente come pedagogia della liberazione per i territori del Mezzogiorno. L’educazione allo stato di minorità del nostro popolo è stata, e purtroppo continua ad essere, l’architettura ideologica che legittima la persistenza di una società coloniale a Sud di Roma, la cui grammatica esistenziale è la declinazione del verbo obbedire. Le colonie hanno come modalità espressiva l’alfabeto dell’aderenza, che a queste latitudini ha assunto la veste terribile dell’inginocchiatoio.
La subalternità del Meridione è il risultato di una sofisticata azione di invasione culturale che si è esercitata attraverso l’uso spregiudicato delle mafie, a partire dal 1861, quale strumento di sorveglianza e controllo del nostro sottosviluppo economico-civile. In 156 anni di vita unitaria, i meridionali hanno familiarizzato con la pedagogia dell’essere ‘di meno’ (e non solo in relazione al Settentrione), che si è imposta a livello popolare come una totalizzante filosofia della dipendenza. Paulo Freire, nella sua Pedagogia degli oppressi, spiega che la ‘falsa carità’ del potere è l’azione manipolatrice più efficace nelle dominazioni coloniali non-violente caratterizzate da una sorta di paternalismo dolciastro.
L’assistenzialismo dei palazzi del potere romano nei confronti del Mezzogiorno, lungi dal mettere in discussione le ragioni delle disuguaglianze tra territori, aveva come finalità il mantenimento di questi vincoli di sottomissione culturale ed economica. La comunità meridionale doveva essere recintata, chiusa in un piccolo mondo di interessi meschini e desideri repressi. Un orizzonte che non poteva andare oltre la ‘cerchia più prossima’, come direbbe Leonardo Boff, padre della Teologia della liberazione. Nel vissuto delle masse popolari, si è sedimentato, in tal modo, un pensiero collettivo di rinuncia al cambiamento e di accettazione supina delle ingiustizie: un vero e proprio dogma sociale, la cui sacralità non può essere messa in discussione.
La speranza, intesa come vocazione ontologica dell’uomo al divenire che è naturalmente cambiamento storico-sociale, rischia di diventare un vocabolo nomade, perché non ha dimora stabile nei confini meridionali: invero conosce continue forme d’esilio. Per il Sud è arrivato il momento della r-esistenza, o più opportunamente di una Pedagogia della R-Esistenza che si faccia in maniera osmotica filosofia della protesta e della proposta. Protesta verso l’ipocrisia di questo Stato, e del suo modello duale di organizzazione dei rapporti di forza tra le regioni del Paese. Oltre che essere un (intollerabile) anacronismo storico, questo schema di potere è politicamente miope nella società globalizzata. Ma la r-esistenza meridionale deve soprattutto farsi ‘Città futura’: proposta cioè di una radicale modellistica sociale in grado di presentarsi come alternativa di civiltà attraverso una rinnovata opera di egemonia culturale che promuova dal basso la democrazia popolare.
Il Mezzogiorno, nell’ultimo mezzo secolo, è stato tra i grandi laboratori del capitalismo predatorio, e della sua natura esplicitamente criminale, tra sfruttamento violento del lavoro e avvelenamento sistematico dei territori. Le reti dell’economia illegale sono il linguaggio identificativo dell’odierno turbo-capitalismo e del suo progetto di ‘mafiosizzazione globale delle classi dirigenti’ sul modello italiano. La rottura di questa complessa fenomenologia dell’oppressione è possibile soltanto promuovendo un’alleanza organica (che parta dal nostro Sud e abbracci i Sud del mondo) tra i movimenti no-global, l’associazionismo ecologico, le cooperative che lavorano alla riconversione ecosostenibile dei beni confiscati alle mafie, i soggetti sociali impegnati nella tutela dei beni comuni, i migranti.
La società della disuguaglianza è la realtà politico-economica alla quale è arrivato il momento di disobbedire culturalmente recuperando ‘l’etica del volto’. Il Meridione deve operare questa rottura epistemologica con l’algoritmo risorgimentale della dipendenza e liquidare tutto il suo milieu coloniale. A partire dall’antimafia salottiera e radical chic, la cui unica funzione è narcotizzare, in cambio di denaro, il risveglio della coscienza popolare del Mezzogiorno, e della sua autonomia di azione strategica rispetto agli interessi governativi della finanza padana. R-esistere traduce in definitiva l’urgenza storica di questa necessità antro-pedagogica che è azione educativa di cambiamento degli assetti socio-economici della collettività. A partire da quella meridionale.
La sfida culturale del ‘progetto r-esistenza’ è nella rivoluzione della speranza, intesa come esercizio della volontà e non ripostiglio dei desideri mancati, secondo la lezione di don Tonino Bello. La speranza è Sud.
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