L’Officina delle Culture di Scampia
3 minuti per la letturadi CIRO CORONA
ERA l’anno 2013 quando proposi alla nuova rete associativa, nata intorno alle attività del Fondo rustico Amato Lamberti, di ospitare sul territorio studenti, giovani, adolescenti, per potergli far vivere senza mediazioni e filtri la magia della nostra rinascita collettiva. Mi fu dato del folle. Ma non perché questo tipo di attività non fosse già stata fatta: Scampia da oltre trent’anni è attraversata da un forte movimento associazionistico che ha tenuto sveglie le coscienze soprattutto durante la dittatura armata dei Di Lauro, oltretutto di persone nelle vele o ospiti delle varie associazioni ce ne son state a centinaia anche se mai in modo ufficiale, dichiarato, propagandato, gruppi piccoli nell’ombra del silenzio e della discrezione. Ero folle perché proposi la rottura del “sistema”.
Gruppi di 100/120 persone, alla scoperta di quel cambiamento in atto a Scampia, un tour delle meraviglie e delle conquiste del Quartiere, ma allo stesso tempo della denuncia di trent’anni di abbandono istituzionale. Vigeva la diffidenza, lo sconcerto, la paura. 1500 persone solo nei periodi estivi son passate in 4 anni, se ne aggiungeranno altre 200 questa estate, 1900 ragazzi delle scuole elementari della Provincia di Napoli, un protocollo con la New York University per lo studio dell’antimafia sociale che parte dai territori, un progetto quinquennale di stage formativo con gli studenti del corso di Pedagogia della R-Esistenza dell’Università della Calabria. Nel giro di tre anni la follia è diventata progetto da emulare. Parrocchie, organizzazioni scout, associazioni, tutti oggi portano i “turisti” nel Quartiere. Ma siamo ancora pochi, troppo pochi.
Il Campo estivo sul primo bene agricolo confiscato della Città dà la dimostrazione che l’antimafia non è quella dei baroni stipendiati ma è una scelta di vita, un percorso dove, nel rendere produttivo un bene confiscato, si costruisce un percorso virtuoso fondato su una rete di economia sociale. Un percorso che abbatte ogni tipo di pregiudizio, elimina le etichette di “buono” e “malamente”, restituisce dignità alle storie individuali e a quelle di un territorio ma soprattutto è l’unico antidoto alle strutture dell’economia criminale, basandosi su un indotto etico-sociale e non sulla mera massimizzazione del profitto economico. Chi partecipa al campo estivo, solitamente porta con sé tutti i pregiudizi del nostro regime di informazione e arriva a Scampia, su un bene confiscato, a lavorare con i detenuti, col terrore nello sguardo.
Giorno dopo giorno, zappata dopo zappata, nel lavorare in campagna insieme ai detenuti, nell’ascoltare le testimonianze di chi decide di lasciare la vita di mafioso e dedicarsi ai propri territori, nell’ascoltare chi, lontano dai riflettori, costruendo una rete inclusiva, è riuscito a portare avanti un braccio di ferro vincente contro uno dei clan più spietati di sempre, i ragazzi cominciano a cambiare espressione, visione, modo di guardare l’altro. Vanno via, alla fine del percorso, piangendo, ci lasciano chiedendoci «cosa possiamo fare noi sui nostri territori?». Gomorra sparisce, si sposta altrove, al Nord, nel cuore del business economico del Paese e all’improvviso, puntualmente, qui c’è posto solo per le Terre della Speranza. I Campi estivi di (R)esistenza hanno l’obiettivo di formare giovani coscienze libere da condizioni e condizionamenti, dai poteri forti dei potenti di turno, dalle logiche massoniche e lobbistiche anche di certa antimafia di professione.
Per questo il campo a Scampia e Chiaiano non è la solita esperienza estiva speculativa, ma è l’assunzione di responsabilità dell’impegno contro i signori del negazionismo, la presa di coscienza che un’altra antimafia è possibile. Che un’altra chance c’è ancora data e che un altro Sud, il nostro Sud, non dipende dalle mani del “Dio in terra” di turno ma da ognuno di noi, dal nostro fare “sistema” uscendo dalle aule e dai convegni, cominciando a mettere giù giacche e cravatte per sporcarci le mani, tra la gente, sui territori, rendendoli liberi, produttivi e non più sottomessi.
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