Paola Barbato
7 minuti per la letturaPer l’occasione, la sceneggiatura degli albi è stata affidata a tre delle autrici di punta della scuderia di via Buonarroti: Paola Barbato, Gabriella Contu e Barbara Baraldi, che hanno dato un’interpretazione personale alle emozioni suscitate in loro dalle parole e dalla musica per trasferirle a pieno titolo nel mondo di Dylan Dog. Corrado Roi, Sergio Gerasi e Davide Furnò hanno visualizzato il tutto con la loro arte. Gigi Cavenago e Fabrizio De Tommaso hanno illustrato le copertine.
La prima delle tre storie, Sally, è da qualche giorno in edicola. Paola Barbato e Corrado Roi hanno dato vita ad un racconto di Dylan Dog intimista, pieno di una magia dei sentimenti, persi, ritrovati, rinnegati ed infine accettati, destinata ad entrare tanto nell’immaginario collettivo dei lettori della gloriosa serie creata da Tiziano Sclavi e pubblicata dalla Sergio Bonelli Editore, quanto in quello dei fans del Blasco.
Abbiamo intervistato Paola Barbato per farci raccontare la genesi di questo racconto.
Qual è il suo rapporto con le canzoni di Vasco Rossi?
Vasco Rossi è stato il primo cantante per “ragazzi” che ho ascoltato. Andavo in montagna con i miei genitori, ero ancora piccola, avevo 8-9 anni e c’era un’altra famiglia che aveva in affitto un appartamento nella stessa struttura. Di questa famiglia faceva parte una ragazza, di 4-5 anni più grande di me, che aveva le cassette di Vasco. Lì ho ascoltato le sue canzoni per la prima volta. Io non l’avevo mai sentito nominare perché a casa mia ascoltavamo Édith Piaf e Charles Aznavour per cui… Va da sé che sono rimasta stupita da quella musica.
Qual è la prima canzone di Vasco che l’ha colpita?
È stata Silvia… “Silvia fai presto che sono le otto”… La storia di una ragazzina che la mattina fa tardi per guardarsi allo specchio e cercare di immaginarsi come sarà da grande, mentre la madre la riprende e la chiama da lontano. Era un qualcosa che sentivo molto vicino a me. Poi ovviamente tutte le altre da quell’epoca in avanti.
Quindi il suo legame con Vasco esiste da prima della storia che hai sceneggiato?
Si, l’ho sempre ascoltato da quando l’ho scoperto in avanti. Poi io non sono mai fan di un artista, ma sono sempre fan di una canzone. Ci sono delle sue canzoni che per me hanno un senso particolare. Vivere e Il senso, per dirtene giusto due. E tra quelle più recenti Io sono ancora qua. L’ho trovato una risposta bellissima a tante critiche.
C’è un legame tra Dylan Dog e Vasco Rossi. Sono entrambi personaggi popolari, nel senso che appartengono al popolo, alla gente. Secondo lei quali sono gli elementi che li legano?
In realtà al di là del fatto che Vasco è andato avanti con gli anni mentre Dylan si è cristallizzato, perché altrimenti sarebbero quasi coetanei, entrambi hanno parlato alla gente nello stesso momento ed entrambi hanno parlato alla gente di limiti, hanno parlato entrami di disagio. Nessuno dei due si è posto in alto dicendo: “Ah guardami, adesso ti insegno i massimi sistemi della vita”. Entrambi hanno posto davanti la fragilità della propria figura, ponendosi molto vicini a chi li leggeva o li ascoltava, dicendo loro “Siamo uguali”. Poi sono due figure che non sono mai state omologate, che non hanno mai seguito le indicazioni di nessun genere su ciò che era corretto fare. Hanno sempre seguito la loro natura ed hanno sempre espresso questo loro desiderio di libertà e di inseguimento di libertà. Questi sono i punti che più di tutti li vanno a raccordare.
Il loro non farsi omologare è costato ad entrambi delle critiche.
È inevitabile che quando tu riesci a toccare così tante persone in maniera così tanto profonda immediatamente dall’altro lato avrai delle persone che ti osteggiano, che ti puntano il dito contro. Pensiamo al calvario che un fumetto popolare come Dylan Dog ha dovuto passare. È stato accusato di qualsiasi cosa: dal traviare le menti, al portare i ragazzi al satanismo. È stata detta qualsiasi cosa su Dylan Dog. Si è portato pazienza finché non hanno smesso. Per fortuna i fans di Dylan Dog sono degli irriducibili, come i fans di Vasco Rossi. Nel momento in cui viene toccato il loro mito, il loro idolo, sono pronti a “scannarti” (Ride ndr)
Pur essendo uno è un personaggio del mondo dello spettacolo e l’altro un personaggio immaginario, possiamo dire che sono due leader per le masse?
No, non li definirei leader, perché non hanno mai avuto, né l’uno né l’altro, la pretesa di esserlo. Però devo dire che sono entrambi estremamente generosi nel donare sé stessi, e nel dire “Io sono questa cosa. Tu cosa sei?”. La loro non è una leadership, ma è sicuramente un’inclusione. Hanno creato delle tipologie di raggruppamento umano che prima non c’erano. Sono riusciti a collegare e a connettere attraverso di sé tante persone. Sono riusciti a costruire dei ponti. Questo è un merito enorme. Li definirei così: dei costruttori di ponti.
Chi è per te Sally?
Sally è una canzone di Vasco che ho sempre considerato tristissima. Sally è una donna che è portata ad un certo punto ad accettare che la vita e il sogno sono due cose molto diverse. Che la vita è più dura. Che la vita è più cattiva. Che la vita non ti perdona niente e non ti fa sconti. Però la bellezza della vita sta in questa sua mostruosità. Per cui finché cerchi di viverla in una maniera astratta soffrirai per forza. Fino a quando ad un certo punto imparerai ad amarla per quello che è… Il cuore di questa canzone non è tanto nelle frasi iconiche che tutti ripetono e che tutti conoscono, ma è nelle parole “Forse era giusto così. Forse, ma forse, ma si”. Cioè il dire che le cose che sono andate male, le devi accettare. Quando, nella storia di Dylan, ho tradotto questa canzone nelle fasi del lutto, l’ho fatto perché l’ultima fase è quella dell’accettazione. Per me questo è il grande percorso di Sally. É un lutto che non è un lutto per una vita, ma è un lutto per un sogno. La vita sognata da Sally è morta, e Sally ha elaborato il lungo lutto per la perdita di questo sogno.
Il disegnatore dell’albo, il Maestro Corrado Roi, ha realizzato delle tavole eccezionali.
C’è tanto di Corrado Roi in questo albo. Abbiamo parlato a lungo della storia. Volevo che ciò che raccontavamo lui lo sentisse. Gli ho proposto di fare una personificazione mostruosa delle emozioni, perché a volte i sentimenti sono mostri, a volte stiamo bene se non li proviamo, però se non li proviamo non siamo vivi. In realtà i sentimenti ci azzannano! Questa visione gli è piaciuta molto, e ciò ha contribuito a rendere queste personificazioni mostruose dei sentimenti così belle sotto il punto di vista grafico, così alternate nella forma, dato che non si assomigliano tra di loro, come è giusto che sia. Che questo concetto tra di noi fosse condiviso ha rappresentato un punto importante per la buona riuscita della storia. Ci siamo detti che non è vera questa visione edulcorata per la quale un sentimento basta che è vero anche se è brutto può essere considerato bello. Il sentimento quando è reale è sempre un’ondata, un qualcosa che ti travolge, che non si gestisce. Quelli belli e anche quelli brutti. L’emozione in fondo è questa cosa qua: una qualcosa su cui non hai nessun controllo.
C’è un’altra canzone, di un altro cantante, che le piacerebbe tradurre nel linguaggio fumetto?
Sono talmente tanti… La volpe di Ivano Fossati. Bella e inquietante. Anche quella è una canzone di speranza, di qualcuno che attende e non sa neppure lui cosa sta attendendo.
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