Milo Manara
14 minuti per la lettura“Mi basta disegnare, sempre!”. Con queste parole, Milo Manara, Maestro dell’Eros a fumetti, chiude la sua autobiografia, “Milo Manara – A figura intera” pubblicata da Feltrinelli Comics e da pochi giorni in tutte le librerie.
Manara ha rivoluzionato la visione, nazionale ed internazionale, del concetto di Eros, definendo un immaginario collettivo in cui spregiudicatezza e ribellione sono alla base di una visione che conquista il lettore, sia sotto il profilo narrativo che sotto quello grafico.
In questo suo racconto di vita, ripercorre le tappe che l’hanno portato ad essere uno dei più celebri rappresentanti dell’arte italiana nel mondo, e rivivere gli incontri e le collaborazioni con artisti quali Federico Fellini, Hugo Pratt, Brigitte Bardot.
Molti intensi i capitoli dedicati all’amicizia sincera con il regista della Dolce Vita, al quale l’autore di Lo Scimmiotto e Caravaggio, era legato da un rapporto che esaltava e trascendeva la reciproca creatività. Il racconto della sua vita artistica è un viaggio nel tempo, che narra come il fumetto, e in esso la sua arte, abbiano contribuito a cambiare, in piccola e grande parte, la società italiana.
Dagli esordi come autore di storie erotico-poliziesche della collana Genius, passando per le avventure provocanti di Jolanda De Almaviva, per i racconti apparsi sul Corriere dei Ragazzi, fino a giungere alla creazione di Giuseppe Bergman e Miele, e alle collaborazioni con Adriano Celentano e le grandi case editrici supereroistiche statunitensi, Manara traccia una rotta in cui la sua stella polare è e resta il desiderio di raccontare l’avventura, la voglia di provocare, la necessità di spezzare gli schemi dei preconcetti.
Milo Manara è, oggi come ieri, una cornucopia artistica da cui sgorga bellezza nella forma del fumetto e dell’illustrazione. Feltrinelli riproporrà l’intera opera del Maestro Milo Manara in una collana, Biblioteca Manara, a lui dedicata. Abbiamo raggiunto l’autore di Lo Scimmiotto per un’intervista.
Per lei che è abituato a raccontare storie, come è stato raccontare la sua?
«Non è stato facile. Feltrinelli ha insistito un po’ per convincermi, anche perché mi chiedevo che tipo di interesse avrebbe potuto avere una mia autobiografia per i lettori. Riflettendoci abbiamo scelto di darle un taglio molto più accentrato sui fumetti. Quella contenuta nel volume è l’autobiografia di un fumettaro, dato che ho considerato che se ci fosse stato un interesse sarebbe stato quello di raccontare l’evoluzione del fumetto dagli anni ’60 ai nostri giorni, narrata da un testimone che a sua volta si è evoluto. Così è diventato più facile».
Una delle caratteristiche del Fumetto è di essere da sempre uno specchio della realtà, e al contempo una realtà in cui il fumetto si specchia. In “A figura intera”, la sua autobiografia, lei racconta l’evoluzione della società italiana e di come il Fumetto abbia influenzato e sia stato influenzato da tale evoluzione.
Quali sono i cardini di questa reciproca contaminazione?
«Partiamo dagli anni ’60, che sono stati un grande sommovimento sociale, e soprattutto dal ’68 che è un periodo che è durato, ovviamente, molto più di un anno. C’è stato sicuramente un primo e un dopo. Il prima anni ’60 e il dopo anni ’60 per chi l’ha vissuto è stato evidente. Sono cambiate molte cose, a partire dal rapporto tra genitori e figli, tra insegnanti e allievi, il rapporto tra i sessi, il costume stesso. Nella musica sono comparsi i Beatles e i Rolling Stones, e tutta la generazione del Rock. Nella moda Mary Quant e la minigonna. Ci sono stati grandi cambiamenti a cui hanno contribuito anche il Cinema e la Letteratura. Cito su tutti Ultimo Tango a Parigi. Nel Fumetto invece si è assistito all’esplosione di questi piccoli albi tascabili che allora si definivano porno, ma in realtà erano blandamente erotici, partiti sulla falsariga di Diabolik (con riferimento al formato tascabile ndr). Ne sono stati pubblicati un’infinità. È stato un vero e proprio fenomeno sociale, che non si è verificato in altre nazioni. Esaurita la spinta “innovativa” sono più o meno scomparsi. Nel frattempo avevano allevato una categoria di lettori che hanno continuato a leggere i fumetti, da adulti. Ciò ha portato alla nascita di grandi riviste di fumetti destinati agli adulti e non più ai ragazzi. Quindi il fumetto è stato influenzato da tutto che succedeva, ma a sua volta ha portato il proprio piccolo, grande contribuito a questo cambiamento. Ciò è avvenuto soprattutto nell’ambito dell’erotismo. Ma non solo. In quegli anni fu pubblicata La Ballata del Mare Salato di Hugo Pratt. Il fumetto insomma stava diventando adulto… con Barbarella di Jean-Claude Forest, con Valentina di Crepax, ad esempio. Sono stati grandi i movimenti che sono avvenuti nel fumetto, non solo per l’erotismo “molto popolare”, ma anche per quello molto più intellettuale».
Tra l’altro lei fu anche il disegnatore di una di queste serie a fumetti erotiche: Jolanda de Almaviva, ideata da Renzo Barbieri e scritta da Roberto Renzi.
Qual è stato il momento più importante della sua vita d’artista?
«Farei molta fatica ad individuarne uno solo. In realtà ce ne sono stati tanti. A cominciare dal momento in cui scelsi una scuola meravigliosa (Il Liceo Artistico di Verona ndr). Poi i primi film di Fellini che vidi. Furono una grande svolta della mia formazione. Poi l’incontro con grandi disegnatori come Hugo Pratt e Jean Giraud – Moebius, e con lo stesso Fellini. Sono stato molto fortunato per aver avuto la possibilità di fare incontri straordinari, di conoscere gli artisti che più ammiravo, in assoluto. Nell’autobiografia ho voluto raccontarli perché per me sono stati fondamentali».
È stato legato in modo particolare a Federico Fellini. La vostra arte si è compenetrata in diverse occasioni. Penso ai fumetti Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet, ma anche ai manifesti di L’Intervista e La Voce delle Luna, ultimo film del Maestro del Cinema. Vi fu tra voi una vera amicizia.
Fu molto vicino a Fellini anche nei suoi momenti più difficili, come raccontato nel volume edito da Feltrinelli.
«Vero. Eravamo sempre in coppia con Vincenzo Mollica. Tutti e due abbiamo cercato di sostenerlo, anche quando era in difficoltà perché non gli facevano fare più film. Un altro sostegno glielo abbiamo proposto nel momento in cui scelse di condurre una battaglia a cui teneva molto, lui che raramente si esponeva, restio come era anche nel rilasciare interviste in televisione, ad apparire al di fuori dei suoi film. Lui ha condotto una battaglia contro l’interruzione pubblicitaria nei film. Io mi sono posto al suo fianco raccontando una storia a fumetti in cui il Casanova di Fellini veniva continuamente interrotto da questa pubblicità. Se ne andò, purtroppo e fortunatamente, prima di quello strano referendum in cui l’Italia votò per l’interruzione pubblicitaria nei film in tv. Questa è una delle battaglie di civiltà che varrebbe ancora la pena di fare».
Nelle primissime pagine del libro, lei racconta di un importante esame durante il quale era chiamato a disegnare un fiore di plastica. Scelse di realizzarne una versione stilizzata e per questo fu bocciato. Fu un atto provocatorio? Si considera un ribelle?
«In quanto “aspirante” artista certamente. Io ho sempre pensato che il ruolo dell’artista fosse quello di cercare di indicare alternative culturali o esistenziali, non certo politiche. O forse anche politiche. Chissà! A quel tempo avevo 18 anni, e non si è ribelli a 18 anni, non lo si sarà mai più. Io vivevo nel mito dell’artista ribelle, di Caravaggio… o se non di Caravaggio almeno di Picasso! Picasso all’epoca rappresentava veramente un’eversione. Non era capito universalmente come adesso. Era oggetto di battute tipo “Anche mio figlio di cinque anni potrebbe fare un disegno come quello di Picasso” sentivo dire. Io avevo questa vocazione, o presunzione, tipica dei ventenni, di cambiare il mondo con due disegni».
Possiamo dire che un po’ il mondo l’ha cambiato, dando l’accesso ad un vastissimo pubblico ad una visione dell’eros che forse prima non esisteva. Oggi nell’immaginario collettivo il segno di Manara ha la sua valenza.
«Grazie. Mi piacerebbe molto che nella mia opera non si vedessero solo le donnine scollacciata, ma che si veda anche questo cambiamento, questa evoluzione sociale che c’è stata attraverso l’erotismo nel fumetto e altrove».
Nella battaglia tra eros e pornografia, oggi chi sta vincendo?
«Senza alcun dubbio la pornografia. L’erotismo è scomparso un po’ dappertutto, mentre la pornografia avanza a grandi passi, con internet. La pornografia è facilmente accessibile e sempre più potentemente presente a livello sociale. L’erotismo è invece più o meno scomparso, nei fumetti, nel cinema, nella letteratura. Se si può cercar di tracciare una differenza tra erotismo e pornografia, che resta sempre labile, credo che si possa dire che l’erotismo è l’elaborazione culturale del sesso mentre la pornografia è l’esposizione, la rappresentazione del sesso senza alcuna elaborazione culturale. Ecco, se c’è qualcosa di cui possiamo lamentarci nella nostra civiltà attuale è l’arretramento dell’elaborazione culturale in tutti i campi. Stiamo assistendo ad una catastrofe di tipo culturale ed etico. L’impressione è che la dittatura del denaro è talmente oppressiva che non abbiamo in mente niente altro da quando ci alziamo a quando andiamo a letto. È tutta una battaglia continua per procurarsi il denaro. Se noi osserviamo le trasmissioni televisive, considerando che la televisione è una delle cartine tornasole più importanti per leggere una società, con tutto questo dilagare di isole dei famosi, grandi fratelli, padelle e trasmissioni culinarie, di trasmissioni di intrattenimento che non propongono nulla, si ha la sensazione che tutto ciò sia solo il pretesto per una valanga di pubblicità, di interruzioni. Se noi confrontiamo questa televisione con quella di 40 anni fa non penso che non si possa negare un arretramento culturale impressionante. Io ricordo trasmissioni con Proietti, comiche, di altissimo livello, ad esempio. Parlo di trasmissioni di intrattenimento».
Questo arretramento lo riscontra anche nel mondo del fumetto?
«Nel mondo del fumetto io trovo che si dia molta più importanza ai testi rispetto che al disegno, facendo un confronto con gli anni ’60 e ’70. Si privilegia molto la narrazione scritta, i dialoghi. E poi è quasi totalmente scomparsa l’avventura. Sembrerebbe che il fumetto per raggiungere un rango culturale accettabile socialmente abbia rinunciato ad una delle sue caratteristiche che è quella di raccontare l’avventura. Non vedo allievi di Hugo Pratt in giro. Ma ci sono ancora dei grandissimi autori, come per esempio Paolo Bacilieri, che è divertente, profondo, e che racconta ancora l’avventura. Si tratta di un’avventura a sfondo sociale, però è sempre avventura… un’avventura intellettuale! Ma a parte pochissime eccezioni vedo che oggi il fumetto racconta temi familiari, problematiche sociali, accettazioni di altri individui, di se stessi, conflitti interpersonali, magari conflitti di genere. Mi pare che sia molto più circoscritto a questa tematiche. Massimo rispetto da parte mia: è bellissimo che il fumetto si occupi di ciò. Quello di cui io sento la mancanza è l’altro fumetto, il fumetto d’avventura, il fumetto d’evasione».
I lettori di Tex tuttavia non sarebbero molto d’accordo con lei, sulla mancanza di fumetto d’avventura in Italia.
«Ovviamente ci sono lodevolissime eccezioni, come Tex. Io parlavo del fumetto d’Autore. Non che ci sia una differenza qualitativa, sia chiaro, ma il mio riferimento è ai giovani autori che scrivono le proprie storie, i propri personaggi. Tex è l’erede del racconto di avventura, per quanto sia un tipo di avventura western. Io sento la mancanza di collane come Un Uomo, un’Avventura (Storica serie di volumi da libreria pubblicata dalle Edizioni Cepim, che divennero la Sergio Bonelli Editore, in cui si possono leggere racconti di autori del calibro di Pratt, Crepax, Manara, Battaglia, Milazzo e Micheluzzi ndr). In Francia invece il fumetto d’Avventura resiste ancora, senza tralasciare al proprio interno tematiche sociali. In Italia c’è un ripiegamento su temi familiari, intimi e sociali come detto. Ciò è quanto vedo io, magari sbaglio».
Esiste oggi un erede dell’arte di Milo Manara?
«Mi pare di no. Ma è in generale la mia generazione che non ha eredi, così come la generazione precedente alla mia. Non ha eredi Vittorio Giardino, non ha eredi Paolo Eleuteri Serpieri. Mi pare che stia finendo o che sia finita un’epoca, con noi “vecchi”. Il fumetto è veramente molto cambiato. In gran parte in bene. Non dico in meglio, ma sicuramente in bene».
C’è qualcosa di cui si è pentito nella sua carriera?
«Certamente. Intanto per impossibilità momentanea ho dovuto rifiutare una collaborazione con Jean-Claud Forrest (Autore di Barbarella ndr) e con Moebius. La cosa di cui veramente mi pento è di non aver riconosciuto prima l’importanza del fumetto. Mi pento di aver fatto per troppo tempo alla leggera, non perfettamente consapevole dell’importanza culturale che potesse avere. Me ne sono accorto tardi e sono stato abbastanza ondivago. Non mi sono mai addentrato veramente in profondità, e mi sono sempre tenuto un po’ in superficie, ogni tanto raccontando anche storielle non troppo leggere. Oggi non lo rifarei. Mi dedicherei da subito a temi più importanti. Cercherei di sviluppare maggiormente personaggi come Giuseppe Bergman (Personaggio creato da Milo Manara nel 1978 ndr). Cercherei soprattutto di non mettermi in condizioni di lavorare in fretta. Spesso mi sono trovato in queste condizioni e non ho curato bene come avrei dovuto le sceneggiature, o in qualche caso, i disegni. Sì, ho qualche pentimento. Ma ci sono anche cose che rifarei tali e quali come la collaborazione con Hugo o quella di Fellini, alle quali penso sempre quando mi sento in colpa. Mi dico “Dai, però in fondo ho fatto anche questo, che mi assolve…”»
Lei ha dichiarato che non rinuncerebbe alla sua arte, alla sua capacità di disegnare, per tutta la ricchezza del mondo. C’è qualcos’altro per cui lo farebbe?
«No, non credo. Bè se mi mettessero davanti ad una scelta drammatica… ma spero che non succeda mai.
Ma se mi mostrassero un biglietto della lotteria vincente dicendo: “Con questo vincerai milioni di euro, ma da domani non disegnerai più…”, ecco, io quel biglietto lo rifiuterei. Non ho il minimo dubbio. Preferisco essere povero, che non poter più disegnare. Le dico di più. Se domani dovessi commettere un delitto, e mi mettessero in prigione, a me basterebbe davvero avere solo della carta e una matita, per sopportare la mancanza di libertà».
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