X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

Luigi Di Maio lascia la guida del Movimento 5 stelle. Non senza togliersi qualche sassolino dalle scarpe («basta con le pugnalate alle spalle dalle retrovie») e assicurando che non abbandonerà mai i 5 stelle, perché sono la sua famiglia. Le sue dimissioni non hanno nulla a che fare con il governo, scandisce, che anzi deve andare avanti. Di tutt’altro avviso Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che subito attaccano: l’esecutivo «è finito».

Gli alleati di governo, però, la pensano esattamente come Di Maio: le sue dimissioni da leader del M5s non avranno «alcuna ripercussione sul governo», assicura il segretario dem Nicola Zingaretti, che di dice «dispiaciuto». Sulla stessa linea Italia viva. Non ha alcun dubbio il premier: «La decisione di Di Maio rappresenta una tappa di un processo di riorganizzazione interna al Movimento 5 stelle ormai in corso da tempo e che, sono persuaso, non avrà alcuna ripercussione sulla tenuta dell’esecutivo e sulla solidità della sua squadra», scrive Giuseppe Conte in una nota.

Di Maio lascia il testimone a Vito Crimi, che traghetterà i pentastellati fino a marzo, quando si svolgeranno gli Stati generali. Ma lì, puntualizza Di Maio, si deciderà il ‘cosa’, ovvero la nuova organizzazione e le nuove regole del Movimento. Il ‘chi’, ovvero il suo successore, si deciderà solo dopo. Parole che alimentano le voci, dentro M5s ma anche tra le altre forze politiche, su un possibile ritorno sulla scena di Di Maio, magari con una ricandidatura per la leadership. Ma si tratta di rumors prematuri, oggi è il giorno del passo indietro. Dopo la svolta storica del Movimento, nel settembre del 2017, di darsi una struttura ‘verticistica’, con un capo politico eletto a stragrande maggioranza dagli attivisti e iscritti, a ventotto mesi di distanza, il leader lascia la guida di un Movimento, per sua stessa ammissione, che vive un «momento complesso». Ma ce la farà, «la strada è ancora lunga», spiega.

Un giorno intero prima di pronunciare la fatidica frase: «Rassegno le dimissioni da capo politico». Per un giorno intero infatti si susseguono le voci sull’addio imminente, poi la conferma in mattinata ai ministri M5s. Quindi, Di Maio dà appuntamento nel pomeriggio al tempio di Adriano.

L’iniziativa doveva servire a presentare i facilitatori regionali, ma Di Maio si prende tutta la scena. E esordisce: «Ho portato a termine il mio compito». Ma bisogna rimboccarsi le maniche, avverte Di Maio: «E’ giunto il momento di rifondarsi» e si si scriveranno nuove regole, poi «vanno rispettate». E oggi «si chiude un’era, è la fine di una fase, ma non del mio percorso», torna a garantire. Quindi, rivendica le vittorie ottenute, il lavoro fatto, ricorda di aver «difeso il Movimento dalle trappole e dagli approfittatori». Poi, l’affondo: «I peggiori nemici sono all’interno», nel M5s «c’è chi ha giocato al tutti contro tutti».

 L’ultimo gesto è simbolico: sempre in giacca e cravatta, Di Maio lascia il palco, in una sala stracolma e dove l’emozione è palpabile, sfilandosi proprio la cravatta dal collo, quasi a segnare il cambiamento.

Al fianco di Di Maio si schierano invece sia Conte che Casaleggio: ​«La scelta di Luigi mi rammarica, ma è una decisione di cui prendo atto con doveroso rispetto», afferma il premier.

Un “grazie” arriva dal figlio del cofondatore: «La sua resilienza da agonista gli ha permesso di raggiungere grandi risultati personali, ma soprattutto per una grande comunità di persone», osserva Davide Casaleggio.

«Purtroppo non tutti glielo hanno riconosciuto in modo pubblico con la falsa convinzione che, non esponendosi, avrebbero evitato di inimicarsi qualcun altro. Altri con dolo pubblicavano i loro distinguo per inseguire un titolo di giornale. Ma la maggior parte delle persone lo sa. Sa che quando era ora di metterci la faccia o rimetterci le ore di sonno Luigi è sempre stato in prima linea».

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE