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COME si fa a passare dal sonno alla morte, senza accorgersi che la vita ti abbandona in una notte dolce di luna piena. Fuori è silenzio e pace, la natura sembra quasi coccolare e vigilare su quei corpicini che rincorrono sogni e vita, battaglie con draghi ed eroi di cartone. Invece arriva il vento lugubre del terremoto, quel fruscio che rende tutto fragile, precario, inadatto. In dieci secondi se ne vanno le speranze di una comunità: futuri padri e mamme di famiglie, mogli, mariti, fratelli, sorelle, amici di scorribande allegre e spensierate. Il mostro che colpisce di notte, sempre alla stessa ora, non guarda nei letti o sotto i tetti delle case dei presepi marchigiani e laziali. Ingoia tutto, come una bestia feroce, impazzita e rancorosa. Torna a intervalli regolari e reclama il suo bottino di sangue e strazio. Poi si placa, lascia il silenzio dell’eternità, rotto dalle lacrime della disperazione.
Sarà ricordato questo maledetto 24 agosto 2016 come il terremoto dei bambini. Come quello dell’ottobre del 2002 in Molise, con gli angeli di San Giuliano di Puglia sepolti nei banchi della scuola. Se il mondo non è sicuro nemmeno in una culla o nel lettone di mamma e papà, chi mai ci proteggerà un giorno? Che mondo è se nemmeno la notte è un sipario chiuso su ingiustizie e tragedie? Invece si è minuscoli, prede di un destino che combina le leggi spietate della natura e l’insipienza e le leggerezze di un’umanità presuntuosa. Quanti piccoli uomini e donne non vedranno più l’alba. Se ne sono andati abbracciati a chi ha dato loro la vita e l’amore. Qualcuno, più sfortunato, il viaggio nel nulla l’ha fatto da solo, con quel ciuccio e quel pannolino indossati la sera prima come una corazza invincibile, con la gioia di un miracolo che si ripete al mattino. Fra poco, forse, troveranno l’orsacchiotto e la bambola, lì tra le macerie della casa, infarinati di polvere e calcinacci, come dei pagliacci allegri e irresistibili, prima con un’anima vitale, ora avanzi inutili, senza senso, a pochi centimetri da quello che fino a poche prima era la vita con i colori degli affetti più cari. Mamma e papà magari sono rimasti vivi. Ma è solo una finzione, una convenzione per le statistiche e l’anagrafe. Quando un figlio ti lascia in quel modo, mentre riposa accanto a te, non resta più niente dentro. I giorni diventano uguali e persi, come una vecchia pellicola che scorre senza immagini. Perché è difficile venir via, soli, da mercoledì 24 agosto 2016, ore 3,36. Difficile se con te non ci sono i tuoi figli, la parte più bella della tua esistenza.
Didascalia foto:
Una mamma abbraccia il figlio poche ore dopo la scossa
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