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Elly Schlein, segretario del Pd

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DI FRONTE alla fine di Berlusconi, una sinistra sempre più confusa confida proprio nella irripetibilità del personaggio per sperare di disarcionare la nuova leader del centrodestra, Giorgia Meloni. Ma in questi giorni la scomparsa del leader di Forza Italia ha riaperto le ferite mai cicatrizzate di quella sinistra politica e intellettuale che non lo ha mai capito e che oggi ripete con Meloni gli stessi errori di valutazione compiuti con il suo predecessore. Alla fine degli anni Settanta comincia la fine di un secolo segnato dal primato della politica. In Italia, la follia ideologica aveva scatenato la violenza armata del terrorismo. Il sistema dei partiti era ormai incancrenito da decenni di democrazia bloccata. Un potere senza ricambio aveva riprodotto una casta di politici chiusa e inaccessibile. Uno stato omnipervasivo alimentava l’esplosione della spesa pubblica esercitando un’influenza sempre più estesa nella vita pubblica.

LA SINISTRA RESTA NUDA

Così, negli anni Ottanta, la conquista dei diritti civili e sociali e un più alto grado di benessere favorisce processi nuovi: la società civile, stanca di quell’eccesso di politica, chiede più autonomia, gli individui cercano l’autorealizzarsi e vogliono vivere liberamente senza essere giudicati. Silvio Berlusconi si afferma in questo clima. Prima, come imprenditore outsider che contribuisce a sconvolgere gli assetti consolidati dell’informazione e dello sport, sfondando nell’immaginario collettivo. Poi, come underdog politico che spazza via le vecchie nomenclature promettendo il benessere per tutti. Questo percorso è ricco di ombre e di macchie, ma oggi appare chiaro che Berlusconi ha saputo incarnare meglio di chiunque altro lo spirito di quel finale di secolo. Con lui, cambia radicalmente lo stesso esercizio dell’attività politica, che, dopo la sua epifania, diventa il luogo della personalizzazione e della mediatizzazione della leadership, grazie anche a una semplicità di linguaggio e a un’empatia ignoti alla classe politica travolta da Tangentopoli.

Di fronte a tutto questo, la sinistra italiana resta attonita e incredula. Urla contro il conflitto di interessi. Innesca la persecuzione giudiziaria. Agita lo spettro del plebiscitarismo. Lancia allarmi sulla democrazia in pericolo. Denuncia l’attacco alla legalità costituzionale. Cade, insomma, nella trappola della polarizzazione. Sconfitta, comincia a sviluppare un rancore cieco. Tranne alcuni casi eccezionali (il primo Prodi, il primo Renzi) si limita spesso a inseguire. Nei momenti di maggiore difficoltà si volge al passato, alla ricerca di un’identità di sinistra astratta e perduta.

È paradossale, ma con la fine di Berlusconi anche la sinistra resta nuda. Privata del nemico, perde lo specchio nel quale pensava di riflettersi. A dire il vero, questo nemico non c’è più dal 2011: in questo ultimo decennio il Pd ha dovuto guardarsi soprattutto dal M5s e da se stesso. Così, mentre la sinistra si arrovellava e si contorceva nelle contraddizioni, è spuntato l’astro nascente di Meloni.

LE MOSSE DI GIORGIA

Qualcuno oggi si chiede: con la scomparsa di Berlusconi, la sinistra può approfittare delle fibrillazioni che, molto probabilmente, agiteranno i rapporti nella maggioranza? A giudicare dalle recenti mosse sembra improbabile. Il Pd degli ultimi anni è vittima di un autoinganno. La convinzione completamente erronea che la liberazione dalle scorie del “renzismo” (cioè del riformismo) e il recupero di un’ identità di sinistra più radicale e intransigente possa rappresentare la base per rigenerarsi. Con le loro diversità, Nicola Zingaretti, Enrico Letta ed Elly Schlein hanno incarnato finora con coerenza questa prospettiva. Per farlo, hanno riscoperto la logica della polarizzazione e del nemico. Basti pensare alla campagna elettorale di Letta, basata sulla contrapposizione tra i rossi, buoni, e i neri, cattivi. O al discorso pubblico di Schlein che, incapace di emanciparsi da un approccio movimentista e barricadero, a ogni azione del governo risponde con il più trito e insulso frasario sul pericoloso ritorno della destra autoritaria. Come con Berlusconi, la sinistra capisce poco del proprio avversario.

In realtà, Giorgia Meloni sta reinterpretando nella forma di un conservatorismo moderno la tradizionale triade Dio-Patria-Famiglia, anche a dispetto di alcune uscite sgrammaticate o folcloristiche dei suoi dirigenti. In questo modo, raccoglie la voglia di sicurezza e protezione che viene da buona parte dell’elettorato, reso incerto dal susseguirsi di pandemia, guerra e crisi economiche. Non c’è alcun pericolo fascista all’orizzonte. Semmai, come ha chiarito GiorgiaMeloni ricordando Berlusconi, c’è l’idea di rilanciare due cardini della politica del Cavaliere: l’empatia con il popolo e il bipolarismo. Meloni si presenta sul piano personale ed esistenziale come una persona semplice, in sintonia con la media dell’elettorato. E lavora per consolidare il bipolarismo, rafforzando la gamba di destra del sistema.

Per farlo, riscoprirà sempre più il moderatismo del predecessore. In primo luogo, cercando di tenere in vita FI il più possibile, ma con la prospettiva di catturarne il voto in uscita. In secondo luogo, creando un’alleanza originale con i popolari in Europa. Anche il suo approccio alla riforma costituzionale si basa su quei pilastri: valorizzare il voto dei cittadini e rafforzare i poteri del premier emerso dalla competizione bipolare.

PD SENZA VISIONE

Di fronte a questo disegno pragmatico sconcertano la povertà di visione politica e gli eccessi di ingenuità utopistica di Schlein e del suo gruppo dirigente. Proprio mentre Meloni, approfittando della probabile crisi del partito personale di Berlusconi, si sposta a presidio del centro, il Pd lo lascia sguarnito, fuggendo all’ala estrema, verso quelle posizioni corbyniane che sono l’anticamera di nuove sconfitte dopo quelle delle elezioni amministrative. Priva di una cultura istituzionale adeguata che le permetterebbe di leggere le dinamiche del nuovo bipolarismo emergente, la segretaria del Pd insiste su battaglie puntuali sulle quali può forse attirare la simpatia degli opinionisti con il sopracciglio alzato che affollano gli studi televisivi. Ma è sprovvista di quella prospettiva d’insieme necessaria per costruire una coalizione vincente e raccogliere il consenso dell’elettorato del centrosinistra, oggi disperso tra le diverse sette che si odiano reciprocamente.

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