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Renzi e la politica dei Patti

Qualcuno l’ha paragonato a quei democristiani (e socialisti) degli anni Cinquanta e Sessanta che giravano per il Mezzogiorno tagliando nastri e inaugurando un po’ di tutto. Signori delle preferenze che a forza di colpi di forbice e bottiglie di spumante si assicuravano solidi pacchetti di voti e di clientela. Politici di lungo (e lunghissimo) corso, in molte occasioni responsabili dell’arretratezza delle nostre Regioni, dei mali cronici con cui ancora oggi siamo costretti a fare i conti.

Eppure, Matteo Renzi è molto diverso da quei Premier e da quei Ministri. E non per la giovane età, per i modi informali, per il piglio deciso e poco incline al compromesso o per lo smartphone sempre a portata di mano. No, la vera differenza è un’altra: Renzi guida un Paese che non cresce, che fatica a uscire dalla crisi, mentre loro, i vari notabili del secolo scorso, vivevano gli anni del Miracolo economico, gli anni in cui tutto era possibile e l’Italia correva veloce come un treno. E scusate se è poco.

Ma, si sa, tutti dobbiamo fare i conti con le condizioni date. E allora Matteo va in giro, inaugura, promette, annuncia, teorizza. Proprio come si faceva un tempo. E il Sud, disperato e bisognoso di speranza, gli crede. O almeno si autoconvince di credergli. La prima tappa di questo particolare giro d’Italia è la Campania. Si parte da Napoli, l’antica capitale. E forse è giusto così. Il “Patto per la Campania” è il primo dei 16 accordi territoriali previsti dal Masterplan per il Mezzogiorno a essere siglato. Un accordo con cui il Governo si è impegnato a realizzare una serie di investimenti dalle infrastrutture all’ambiente, dalla scuola al lavoro, dal turismo alla cultura, passando ovviamente per la sicurezza. Poi è stato il turno della Calabria, con l’inaugurazione del Museo dei Bronzi di Riace a Reggio e la firma del relativo “Patto”, con conseguenti impegni di spesa per ambiente e sicurezza del territorio, porto di Gioia Tauro e banda ultra larga, agro alimentare e occupazione giovanile, turismo ed edilizia sanitaria. Insomma, un po’ di tutto e di tutto un po’.

Terza tappa, la Trinacria, con visite a Catania e Palermo, l’immancabile inaugurazione di una strada (una carreggiata del viadotto Himera) e l’annuncio del “Patto per la Sicilia”: 14 miliardi da spendere in cinque anni, di cui 2,4 entro il 2017. Numeri di tutto rispetto, dunque, per tenere fede alla madre di tutte le promesse: “Costi quel che costi, da qui ai prossimi due anni faremo ripartire il Mezzogiorno”. Anche se c’è chi maligna che si tratta di soldi già impegnati dai Governi precedenti… Ultimo appuntamento (per ora) la Basilicata, con un “Patto” firmato non a caso a Matera che vale circa 4 miliardi di euro, di cui la grande maggioranza (circa 2,7 miliardi) per infrastrutture e ambiente, due settori a dir poco caldi nella terra delle estrazioni petrolifere. Saranno questi Patti il punto di svolta del nostro Sud? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma ognuno di noi, renziani e non, supporter del Premier e detrattori del Governo deve augurarsi che non si risolva tutto in una bolla di sapone.

Che alle parole seguano i fatti. Che le promesse si realizzino e gli stanziamenti, nuovi o vecchi che siano, si concretizzino. E, soprattutto, che questi soldi vengano anche spesi e non si ripeta la penosa esperienza dei fondi comunitari che si perdono per l’inettitudine della nostra classe politica. Perché il Mezzogiorno non può perdere l’ennesimo treno.

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