X
<
>

Share
5 minuti per la lettura

Come capita spesso lo scrittore e l’uomo hanno due anime opposte. Nel suo caso questa possibilità è praticamente una legge. Georges Simenon quando scrive ha il diritto di svergognarci con il tatto del nostro migliore amico, quello che ci conosce e ci ama e proprio per questo non dice mai nulla che non sia una verità scomoda. E non lo fa per salvarci. Ma probabilmente per l’istinto di mettere le cose al loro posto, anche quando questo posto assomiglia all’inferno. E se c’è qualcuno che da uomo ha saputo attraversarlo l’inferno, questo è stato Simenon.

Nato a Liegi venerdì 13 febbraio 1903, fin dalla nascita viene, morbosamente, accolto dalla madre Henriette come un possibile ragazzo sfortunato. Pericolo che sarebbe derivato dalla sua data di nascita, quel “venerdì 13” che per chi ci crede è una data portatrice di jella. La madre di Simenon ci credeva così tanto che pregò il marito di registrare il figlio il giorno prima. Il diritto fondamentale e inviolabile per un essere umano, quello di essere amato dalla madre “senza se e senza ma”, per Simenon è un’evenienza che non gli capita in sorte. Madre e figlio hanno un rapporto complicato. La madre per il gusto di sfotterlo lo considera un miserevole fallito e lui da bravo scrittore, quando diventa tutt’altro che fallito, le dedica l’autobiografico “Lettera alla madre”. Una confessione amara di un affetto che Simenon considera dovuto e non sentito, fino ad azzardarsi a scrivere: “Noi non ci siamo mai amati, quand’eri in vita – lo sai bene. Abbiamo fatto finta tutti e due.”

Una verità scomoda che ci fa entrare nell’inferno interiore di chi, già da ragazzo, scavalca ambizioni e aspettative genitoriali. Lascia gli studi cattolici, rifiuta la religione e si rifugia nelle letture degli adorati Dumas, Dickens, Conrad e i grandi realisti francesi. A quindici anni smette di studiare per dedicarsi alla passione giornalistica, fa pratica presso giornali e riviste locali e a vent’anni si trasferisce a Parigi. Da quel momento produce una miriade di storie e di romanzi e racconti, affiancandoli all’attività giornalistica.

“Se mentre scrivevo un romanzo mi sono sempre messo nei panni dei miei personaggi, loro, se così posso dire, non si sono mai messi nei miei; più esattamente, nessuno di loro mi ha mai rispecchiato. Mi è accaduto di scrivere storie solari e serene in periodi difficili e creare opere tragiche in epoche felici. Insomma, sono stato oggetto di studi molto seri e di tesi universitarie, il che non lo nego, mi fa piacere. Ma forse è per questo che mi sono messo anch’io a cercare la «mia» verità.”

La quantità inverosimile di storie non si limita all’esperienza su carta. Simenon si è vantato di avere avuto più di 10.000 amanti, al netto delle due mogli mai serene e tranquille per ovvi, e anche matematici, motivi. “L’obiettivo della mia ricerca senza fine non era una donna, ma la donna.” Insomma il senso del possesso che fu pre-alessandrino, come canta Battiato, senza dubbio fu anche simenoniano. Facile ritrovarsi a scrivere che è stata tutta colpa del rapporto rancoroso con la madre. Probabilmente è andata così, almeno stando a ciò che si legge nelle biografie. Eppure le donne per lui restano sfuggenti come raccontano i maestosi ritratti che ne compie nei romanzi più intimisti e proprio per questo non possiamo fare a meno di innamorarci di Betty, di Marie del porto, di Marie la strabica e delle loro storture incomprensibili.

Ma delle peripezie sentimentali e delle performance private dell’uomo poco dovrebbe interessarci. Se non fosse che a molte di queste esperienze dobbiamo la necessità metodica di scrivere. La vita professionale, altrettanto movimentata, subisce un luminoso picco nel 1929 quando dà alla luce il Commissario Maigret, romanzo che firma con il suo vero nome, dopo anni di pseudonimi. Tuttavia, il romanzo non sarà pubblicato fino al 1931. Simenon realizzerà successivamente un ampio ciclo legato alle avventure poliziesche di Maigret, ottenendo un notevole successo di pubblico, pari alla pubblicazione di oltre settanta volumi tradotti in tutto il mondo. La critica invece vedrà a lungo con sospetto il successo popolare di Maigret, le cui indagini si svolgono nel cuore della Francia dagli anni Trenta agli anni Sessanta.

Maigret è un personaggio nuovo tra i polizieschi, attraverso il quale il mondo delle indagini criminali viene percepito in modo inedito. Calmo, paziente e riflessivo, Maigret è un ispettore dell’anima prima che del crimine. Ma a volte può essere minacciosamente calmo, Maigret, con il silenzio che precede la tempesta. Proprio come il suo inventore. La vita di Simenon, invece, subisce un crollo atroce nel 1978 quando l’unica figlia si spara un colpo in testa.

“Il dolore causato dall’assenza è atroce, ma quel dolore, in particolare, era di quelli che fanno credere all’inferno.”

Un senso di fallimento impensabile per un uomo infallibile come Simenon si riteneva, descritto spesso come una personalità estrema, intrattabile e soprattutto egoista. Non sappiamo se senza queste caratteristiche, privo di una crisi introspettiva che necessariamente una tragedia del genere comporta, il suo talento avrebbe dato i natali ad alcuni tra i romanzi più amati come “La camera azzurra”, “Marie la strabica”, “L’uomo che guardava passare i treni”. Non lo sappiamo. Per questo, egoisticamente, al suo inferno siamo grati.

Durante l’occupazione tedesca Simenon vive in un’autosufficienza fortunata nelle campagne francesi; dopo la guerra, temendo l’accusa di collaborazionismo, si trasferisce per dieci anni in America. La produzione letteraria prosegue e Simenon confessa di aver composto soprattutto mentre era “occasionalmente alcolizzato”. Non sorprende che nei romanzi Maigret ha “gli occhi vitrei” per il troppo vermouth.

Simenon è giustamente letto come un autore che non offre speranza. A dispetto della facilità con cui arrivava al successo.

Alla sua morte, nel 1989 in una clinica di Losanna, ha tutti i soldi e le donne che vuole, eppure vive le sue giornate avvilito dalla tristezza. Lo immaginiamo ripetere con disagio a se stesso uno dei pensieri più belli che mette insieme vita e opera, uomo e scrittore: “È incredibile quanto può sembrare lungo un treno quando lo si perde; i vagoni non finiscono mai di sfilare lungo la banchina.”

Share
Francesco Ridolfi

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE