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Il rischio Italia torna prepotente sui mercati finanziari. Le polemiche e lo scambio di accuse sul MES (Meccanismo europeo di stabilità) hanno prodotto solo un nuovo onere a carico dei contribuenti italiani.
I titoli di Stato della Repubblica sono ormai da settimane oggetto di vendite insistenti con la ovvia conseguenza che si alzano i rendimenti e quindi i costi del Tesoro per collocare il debito pubblico sui mercati.
In una giornata complicata per i mercati, indici azionari in picchiati e bond governativi dell’area euro sotto pressione. Il motivo principale sono i nuovi tweet di Donald Trump che si è scagliato contro la Federal Reserve e che ha minacciato Argentina e Brasile prospettando nuovi dazi come ritorsione alle svalutazioni valutarie dei due paesi. Ma un contributo al nervosismo degli investitori è arrivato anche dal Parlamento italiano, dove le comunicazioni del premier Giuseppe Conte sul MES si sono trasformate nell’ennesimo campo di battaglia tra maggioranza e opposizione.
PROGRESSI VANIFICATI
Alla chiusura dei mercati europei, indici azionari in picchiata con Milano maglia nera (per il Ftse Mib uno scivolone del 2,28%) e vendite insistenti sui bond governativi, in particolare Cct e Btp. Il decennale italiano ha registrato una impennata dei rendimenti, schizzati all’1,44% con lo spread sul Bund tedesco ben sopra la soglia dei 170 punti e quello con il Portogallo e la Spagna in area 100 punti.
L’Italia in pratica ha dilapidato il ritorno di credibilità conquistato con la nascita del nuovo governo e l’impegno a rispettare i parametri europei. Il rendimento del Btp è risalito ai massimi da metà agosto ed è quasi raddoppiato rispetto allo 0,78% di inizio ottobre. Le fibrillazioni anche all’interno della maggioranza sul MES alimentate dal M5S hanno provocato un innalzamento del rischio Italia tra gli investitori.
Proprio ieri Bankitalia ha comunicato che il rendimento medio dei titoli di Stato italiani a novembre è stato pari allo 0,824%, in deciso rialzo rispetto allo 0,60% del mese precedente. Un aumento di 100 punti base del rendimento comporta un maggior onere della spesa per interessi sul debito pubblico di almeno un miliardo di euro. I progressi realizzati da agosto a ottobre rischiano di essere vanificati.
NESSUN COMPLOTTO
Tutti i titoli italiani con scadenza oltre i 18 mesi mostrano rendimenti positivi. In Germania i bond governativi hanno tassi negativi fino alla durata di 15 anni. Un ex Paese periferico come il Portogallo ha tassi negativi fino ai titoli quinquennali e sul decennale paga un rendimento inferiore di tre volte rispetto al Btp a 10 anni dell’Italia.
Il comportamento degli investitori non è il riflesso di un complotto contro l’Italia. È la risposta naturale al riemergere dello spettro Italexit. Ogni volta che dalla Penisola arrivano segnali che mettono in dubbio la convinta partecipazione all’euro scatta la risposta dei mercati che alleggeriscono le posizioni sui titoli italiani. Il nuovo Trattato sul Meccanismo salva-Stati ha provocato l’ennesimo scontro politico interno che risulta incomprensibile a giudizio dei mercati e delle cancellerie europee. La lettura è che la componente sovranista non perde occasione per spruzzare veleno sull’euro e le istituzioni europee mostrando una totale allergia verso i meccanismi e il funzionamento del club della moneta unica.
ALLARME INFONDATO
Le critiche che vengono mosse al nuovo Trattato si fondano sostanzialmente sull’allarme che l’Europa vuole imporre dei vincoli stringenti all’Italia minandone l’autonomia politica ed economica. Nel caso di una crisi finanziaria potrebbe essere imposta all’Italia la ristrutturazione del debito pubblico.
Il caso della Grecia dimostra che si può arrivare alla ristrutturazione del debito anche senza il MES. Ma soprattutto solo l’Italia, o un altro paese dell’euro, può chiedere l’intervento del Meccanismo Salva-Stati.
Per gli investitori la risposta alle inquietudini italiche è molto semplice. Per non chiedere l’intervento del MES basta che il governo e il Parlamento perseguano delle politiche fiscali e di bilancio responsabili.
Insomma, se non si minaccia di ignorare i parametri sul deficit, se si riesce ad avviare un credibile piano di riduzione dell’ingente debito pubblico, il rischio di ristrutturazione del nostro debito non esiste. Tutto questo con buona pace dei sovranisti.
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